Astronomia
In origine l'astronomia
greca è tributaria di conoscenze egiziane e mesopotamiche,
ma molto rapidamente assume un proprio carattere razionale
e scientifico.
Nel VI sec. a.C. Pitagora
intravede per primo la sfericità della terra, che
Parmenide riconosce come un fatto acquisito.
Nel V sec. a.C. Empedocle
di Agrigento conosce la ragione delle eclissi di sole,
e Anassagora dà una giusta spiegazione delle
eclissi di luna. Il pitagorico Filolao descrive
così le teorie della sua setta: l'universo è
sferico; una cintura di fuoco produce la luce delle stelle;
un fuoco centrale produce la luce del giorno. La regione
intermedia è divisa in tre sfere: quella delle
stelle fisse, o Olimpo; il Kosmos, sfera del sole, dei
pianeti e della luna; l'Ouranos, regione sub-lunare, mondo
dei cambiamenti, cioè della terra e della sua opposta,
l'Antiterra, che ruotano intorno al fuoco centrale. Nel
IV sec. a.C. due altri pitagorici, Iceta e Ecfanto,
rigettano l'Antiterra e affermano che la terra gira su
se stessa. Platone riprende certi elementi di questa
astronomia, e soprattutto l'opposizione tra movimenti
apparenti e movimenti reali. Dopo di lui, la notte e non
è più considerata come realtà materiale,
ma come un'ombra, e si sa che la luce della luna è
dovuta al sole. Eudosso di Cnido concepisce un
sistema di sfere omocentriche, cui si ispirerà
Aristotele, e compila un catalogo di stelle. Poiché
il sistema di Eudosso non può spiegare la vicinanza
rispetto al sole dei pianeti Mercurio e Venere, Eraclide
Pontico, discepolo di Platone ammette che questi due
pianeti girino intorno al sole, mentre questo astro e
tutti gli altri pianeti si muovono intorno alla terra.
Nel III sec. a.C. ad
Alessandria, Conone e Dositeo, amico di Archimede,
scoprono nuovi gruppi di stelle, e più particolarmente
la chioma di Berenice, riconosciuta da Conone, mentre
Eratostene riusce a calcolare accuratamente la
circonferenza della terra. Aristarco di Samo avanza l'ipotesi
di un sistema eliocentrico, accettato anche da Seleuco
nel II sec. a.C.; quest'ultimo astronomo dà per
primo una spiegazione completa delle maree, mostrando
la dipendenza di questi fenomeni dalla posizione della
luna rispetto alla terra. Alla stessa epoca Ipparco inventa
la trigonometria, strumento indispensabile alle misure
astronomiche; scopre altresì la precessione degli
equinozi e compila un catalogo di più di 850 stelle.
Claudio Tolomeo,
nel II sec. d.C., riassume i lavori degli astronomi
dell'antichità; menziona 48 costellazioni, 104
stelle e cinque pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove,
Saturno), a parte la luna. Mancò agli antichi
il cannocchiale astronomico per poter andar oltre nella
conoscenza dell'universo, ma noi possiamo solo ammirare
tante scoperte, compiute con i mezzi elementari a disposizione.
Ellenismo
[Top]
Per convenzione e per
comodità, si chiama "ellenistico" il periodo che
va dalla morte di Alessandro il Grande (323 a.C.) alla
fine dei grandi imperi creati dai suoi successori (in
principio, sino all'occupazione dell'Egitto dei Lagidi
da parte di Augusto, nel 30 a.C.).
Si è anche chiamata
quest'epoca "Alessandrina", ma, malgrado l'importanza
della civilizzazione di Alessandria, questa denominazione
sembra restrittiva. Questo periodo vede il nascere di
grandi monarchie, risultato delle conquiste di Alessandro:
i Lagidi in Egitto, i Seleucidi in Siria, il cui impero
si estende a un certo momento fino ai confini dell'altopiano
iranico, gli Attalidi in Asia minore, a Pergamo, gli Antigonidi
in Macedonia. Questi imperi segnano il tramonto della
Polis greca. Le città che hanno fatto la gloria
e l'originalità della Grecia, cadute nell'orbita
della Macedonia o di uno dei Diadochi, perdono ogni reale
potere politico, e la loro ostinata indipendenza è
solo un ricordo.
Nei regni ellenistici,
i Greci sono posti in stretta relazione con le antiche
civiltà d'Oriente, dalle quali mutuano certi caratteri
per costituire un sincretismo che sarà una delle
originalità di quest'epoca. Inversamente, la lingua
e la cultura greche si diffondono in tutto l'oriente mediterraneo,
e in parte dell'Italia. Roma, conquistata la Grecia verso
la metà del II sec. a.C., si affina al contatto
di tale cultura; i cittadini istruiti apprendono la lingua
e la letteratura dei vinti, per creare una propria cultura
a partire da questi elementi civilizzatori. I caratteri
artistici acquisiti durante gli ultimi decenni dell'epoca
Ellenica, diventano dominanti. Le opere dei maestri del
tempo, in particolare nel campo della scultura quelle
di Prassitele, di Lisippo, di Scopa, sono copiate in migliaia
di esemplari nei secoli seguenti, e alcune sono così
pervenute fino a noi.
Anche l'epoca ellenistica
produce grandi scuole e originali di scultura: quelle
di Pergamo, di Rodi (Laocoonte, Galata morente), di Tralle
(Toro Farnese), il cui realismo si affermerà soprattutto
nei ritratti.
La tragedia declina,
illustrata tuttavia dai sette tragici alessandrini, di
cui non rimane però alcuna opera; nasce la commedia
nuova, che mette in scena soprattutto vicende di innamorati,
quasi rispondendo alle attese di una società libera
da ogni preoccupazione politica.
I valori della Polis
vengono rimpiazzati dalla nozione di individuo, dalla
speculazione gratuita, dalla ricerca scientifica, e da
una poesia e un'arte rivolte, come la commedia, ai piacere
cittadini dell'amore. Queste manifestazioni di individualismo
sono favorite da certi sovrani, ad es. i Lagidi.
In definitiva i secoli
ellenistici portano il segno di un sincretismo e un universalismo
ereditati dalle conquiste di Alessandro.
Filosofia
[Top]
I greci sono i creatori
sia delle scienze che della filosofia: per primi, si
sono distaccati dalle credenze religiose tradizionali,
per riflettere in modo razionale sul mondo, i suoi fenomeni
e le loro cause.
L'influenza dell'oriente,
ad es. delle cosmogonie Ittite, è sensibile nella
Teogonia di Esiodo, e anche nei primi pensatori
della scuola di Mileto: Talete nel VII sec. a.C.,
e nel VI sec. a.C. Anassimandro e Anassimene
pongono però le basi dell'indagine scientifica.
Nello stesso spirito può esser visto Pitagora,
la cui scuola erige le matematiche a metodo di investigazione
della realtà.
La scuola detta eleatica,
dalla città di Elea in Magna Grecia, patria di
Parmenide (VI-V sec. a.C.) e di Zenone
(V sec. a.C.), sviluppa una filosofia dell'Essere e
pone le basi razionali della scienza. A questa scuola
si riallacciano Senofane di Colofone (VI sec.
a.C.), che a sua volta ispira Parmenide, e Melisso
di Samo; quest'ultimo utilizza i metodi di ragionamento
degli eleati, ma piuttosto che ragionare in astratto,
applica il metodo alla realtà fisica e introduce
la sperimentazione in filosofia.
Eraclito di
Efeso (metà del V sec.) illustra quella è
stata chiamata la filosofia del movimento e del divenire,
mentre il suo contemporaneo Empedocle di Agrigento
inaugura una filosofia dualista, in cui il mondo è
spiegato con l'antagonismo tra forze opposte, amore
e odio, e in cui si esprime una visione dell'uno e del
multiplo. Egli è forse influenzato dell'atomismo
di Leucippo (di Mileto o di Elea , fine del V
sec. a.C.), fondatore della scuola di Abdera. Quest'ultima
raggiunge il suo apice con Democrito, che sviluppa
una meccanica atomistica, idea raccolta da Anassagora.
Molte opere di questi
primi filosofi (Empedocle, Parmenide) sono scritti in
versi; ma ne restano solo frammenti, o analisi successive.
In quanto predecessori di Socrate, che rappresenta una
svolta nel pensiero greco, o del pensiero tout court,
sono stati chiamati presocratici; Socrate
(V sec. a.C.), e il suo discepolo Platone
(V-IV sec. a.C.) che riprenderà le sue idee e
i suoi metodi per farne il fondamento di una filosofia
idealista, hanno a loro volta subito l'influenza di
molti di questi pensatori.
Parallelamente ai presocratici,
conviene citare i sofisti, che perfezionano i metodi
del ragionamento filosofico, per dimostrare le proposizioni
che loro convengono, senza preoccuparsi del concetto
di bene o male; la retorica utilizzerà gli stessi
metodi per difendere le cause più indifendibili,
almeno nel giudizio negativo di Platone. I sofisti,
dotati di una buona cultura e un certo buonsenso, andavano
di città in città, attraverso il mondo
greco, e predicavano nelle piazze, facendo numerosi
discepoli, in particolare tra i giovani.
I più celebri
(grazie ai dialoghi di Platone) sono Protagora
di Abdera, Gorgia da Lentini (Sicilia), Prodico
di Ceo, Ippia di Elide, tutti più o meno
contemporanei di Socrate.
La dialettica non è
comunque ignorata da Platone, né da Aristotele,
che ne sarà che il codificatore,
In opposizione all'idealismo
di Platone si pone il suo discepolo Aristotele, che,
a partire da dati di carattere scientifico, fonda una
filosofia realista nella quale il mondo è mosso
da un motore primo. Molti discepoli di Aristotele sono
più scienziati che pensatori; tra questi Teofrasto
(IV-III sec. a.C.) fondatore della botanica. La posterità
di Platone è rappresentata in linea diretta dall'Accademia,
Antica e soprattutto Nuova, fondata nella prima metà
del III secolo a.C. da Arcesilao di Pitane; tra i latini,
se ne avvarrà Cicerone (I sec. a.C.).
Anche Plutarco (I sec. d.C.), benché non
appartenente all'accademia, è largamente influenzato
dal platonismo.
L'epoca ellenistica
è marcata da una diversità di correnti,
spesso risultanti dalla disillusione seguente alle speculazioni
dei pensatori anteriori, che sembravano avere esplorato
tutti i rami del pensiero, e utilizzato tutti i metodi
che permettevano l'esercizio del pensiero.
Epicuro (342-270
a.C.), originario di Samo ma stabilito ad Atene, dove
aveva comprato un giardino, influenzato dallo atomismo
di Democrito, difende una morale e del giusto mezzo,
lontana da tutti gli eccessi, fondata su una metafisica
che si può dire atea nella misura in cui il mondo
non è che un accidente, l'anima è mortale,
e gli dei, se esistono, non si occupano minimamente
degli uomini. Trova degli antecedenti nella scuola di
Cirene, fondata da Aristippo all'inizio del IV
sec., che predicava una filosofia del piacere alla quale
fu dato il nome di edonismo.
La scuola cinica, fondata
da Antistene, sofista contemporaneo di Platone,
è rappresentata soprattutto da Diogene
di Sinope (V-IV sec. a.C.). L'appellazione di cinico
viene dal fatto che Antistene parlava sulla piazza di
Cinosarge ("cane di argilla") ad Atene; la sua dottrina,
di carattere morale, è fondata sul disprezzo
dei beni materiali. Tale disprezzo dei beni e della
sofferenza si ritrova anche presso gli stoici.
Verso il 300 a.C. Zenone
di Cizio (Cipro) apre una sua scuola nello Stoà
Poikilè, che dà il nome allo stoicismo
(dottrina del portico). Il primo stoicismo è
rappresentato dai discepoli di Zenone: Cleante
di Asso, Crisippo di Soli (Asia Minore), Arato
di Soli, che adatta in versi i Fenomeni di Eudosso.
In metafisica, gli stoici ammettono l'esistenza di un'anima
del mondo, e negano il libero arbitrio. Gli scritti
degli stoici che sono stati conservati sono però
tutti di epoca romana. La Tavola attribuita a
Cebe (contemporaneo di Socrate) è senza dubbio
dovuta a uno stoico dì Cizico vissuto nel II
sec. d.C.
Epitteto di
Hierapolis (Frigia, Asia minore), schiavo a Roma, liberato
e cacciato da Roma sotto Domiziano (fine del I sec.
d.C.), si stabilisce a Nicopolis in Epiro. Ha lasciato
un breve manuale, ma il suo allievo, Arriano
di Nicomedia, ha raccolto una gran parte dei suoi discorsi.
L'ultimo rappresentante dello stoicismo a scrivere in
greco è l'imperatore Marco Aurelio (II
sec. d.C. ??) nei suoi celebri Pensieri.
La filosofia greca
trova degna conclusione nella sintesi mistica che tenta
Plotino nel III sec., utilizzando i dati del
platonismo, dell'aristotelismo, e delle mistiche orientali.
Questa visione religiosa del mondo, che si iscrive nel
contesto di un mondo in mutazione in cui comincia a
trionfare il cristianesimo, è compilata in una
serie di trattati riuniti sotto il nome di Enneadi.
Plotino è il rappresentante più notevole
del neoplatonismo, dottrina professata da un alessandrino,
Ammonio Sacca (fine del II sec.), che ebbe per
discepoli Plotino, e Origene; quest'ultimo, convertito
al cristianesimo, conferisce alla nuova religione uno
statuto filosofico.
Fisica
[Top]
La fisica inizia con
l'esigenza di dimostrare che il mondo è costituito
da pochi elementi fondamentali, ad es. i quattro elementi
aria, acqua, terra, fuoco. Secondo le varie teorie del
VII-VI sec. a.C., questi elementi deriverebbero da una
sostanza primordiale (apeiron secondo Anassimandro),
oppure uno di loro basta a generare gli altri: per Talete,
è l'acqua; per Anassimene, è l'aria,
che non è altro che una specie di vapore; per
Eraclito, è il fuoco mobile, sorgente
del divenire universale, che si trasforma in tutte le
cose.
La fisica primigenia
ha un carattere speculativo, e fa parte integrante di
un sistema filosofico e cosmogonico. I problemi posti
dall'unità e molteplicità della materia,
dal finito e l'infinito, dal mobile e l'immobile, dalla
continuità e discontinuità degli elementi
costitutivi dell'universo sono argomento nel V-IV sec.
a.C. di disputa tra i Pitagorici e la scuola di Elea,
i cui rappresentanti Parmenide e Zenone
sono alla base delle teorie atomistiche dell'antichità.
Se ne trova già
traccia nelle Omeomerie di Anassagora,
ma è soprattutto con Leucippo e Democrito
che questa concezione prende un indirizzo fisico. Essa
è il compimento logico della dialettica di Zenone,
ma non ha molto rapporto con le teorie atomiche della
scienza moderna.
Solo alla fine dell'epoca
ellenica la fisica comincia a separarsi dall'argomentazione
filosofica.
I Greci sanno che l'aria
è uno stato particolare della materia e ne conoscono
la compressibilità; su queste basi Ctesibio
ed Erone nel III sec. a.C. costruiscono le loro
macchine ad aria compressa. Sanno anche che l'aria tende
a salire o scendere secondo che sia calda o fredda.
In acustica, Aristotele sostiene che il suono
si propaga attraverso il movimento dell'aria; numerosi
teorici ammettono che il suono si propaga per onde sferiche,
e spiegano l'eco come il ritorno di onde che urtano
un ostacolo. Il peso è spiegato con la tendenza
dei corpi a scendere verso il basso, e una volta ammessa
la sfericità della terra, si spiega il fenomeno
con la tendenza dei corpi a muoversi verso il centro
della terra.
La trasmissione del
calore per conduzione è nota, come pure l'irraggiamento,
cioè la trasmissione di calore a corpi lontani.
I lavori di Archimede sulle proprietà
degli specchi concavi di riflettere il calore sono celebri.
Aristotele sa anche che l'acqua al punto di ebollizione
rimane a una temperatura costante. In ottica, i Greci,
conoscono già dall'epoca ellenica le lenti e
il loro potere di concentrare il calore solare, e la
proprietà che hanno gli specchi concavi di dare
un'immagine ingrandita di un oggetto. L'ingrandimento
delle lenti è stato osservato, ma i Greci non
hanno saputo – forse – combinarle in modo da costruire
un cannocchiale. Euclide (e forse già
Platone) conoscono queste proprietà; egli enuncia
sia il principio della propagazione rettilinea della
luce che le leggi della riflessione. Tolomeo
nel II sec. d.C. descrive i fenomeni di rifrazione.
In elettricità,
Talete ha sperimentato la proprietà che
acqusta l'ambra (electron) strofinata di attirare
altri corpi; si sa anche che certi pesci si difendono
con una scarica, di cui si ignora la caratteristica
elettrica. Talete menziona le pietre di Eraclea, che
Euripide chiama "magnetiche", per il fatto che si trovavano
in Lidia presso Magnesia; ma l'esperienza di magnetismo
non va oltre questa pietra magnetica (ossido di ferro).
Nella sua fisica, Aristotele
formula delle teorie dell'equilibrio e del movimento
non sprovviste di interesse, benché la sua meccanica
sia basata su assunti filosofici che ne guastano spesso
il valore, e che l'hanno impedito di tirare le conseguenze
corrette di principi validi.
Archimede risolve tra
l'altro alcuni dei più interessanti problemi
di idrostatica, e ispira i progressi realizzati in meccanica
da Archita, Ctesibio e Erone.
Geografia
[Top]
In epoca Omerica,
il mondo conosciuto dai Greci si limita alla Grecia
propriamente detta, alle isole vicine, alla Tracia e
all'Asia minore. Si conoscono indubbiamente I Fenici
e gli Egizi, ma questa conoscenza è imprecisa
quanto la descrizione dei favolosi paesi d'occidente,
che Omero conosce forse attraverso i racconti di viaggio
o le "istruzioni nautiche" di origine fenicia.
La colonizzazione greca
del VIII, VII e VI sec. a.C. estende queste conoscenze
alle coste del Mar Nero, dell'Italia e del sud della
Gallia, mentre il commercio fa conoscere i popoli dell'occidente
mediterraneo, dove la città di Tartesso, che
controlla il passaggio delle colonne d'Ercole (Gibilterra),
è alleata dei Greci contro i Fenici. Dei contatti,
spesso bellicosi, si rinnovano con i Fenici, con loro
colonie, come Cartagine che diventerà la grande
avversaria dei Greci in Sicilia, e con gli Egizi.
La geografia scientifica
nasce in una di queste potenti città commerciali,
in contatto con tutti i popoli del mondo mediterraneo
e dell'Asia vicina: Mileto.
Nel VI sec. a.C. Ecateo
di Mileto può esser considerato come il primo
geografo, mentre il suo concittadino Talete afferma
la sfericità della terra, e un altro milesiano,
Anassimandro, stila la prima carta geografica.
Nel secolo successivo, prima Erodoto, che viaggia
attraverso tutto il vicino oriente, poi Ctesia,
medico del re di Persia, pur essendo storici, estendono
il campo delle conoscenze geografiche dei Greci, grazie
soprattutto ai contatti che le conquiste persiane stabiliscon
con i popoli dell'Asia centrale e meridionale.
Nel IV sec. a.C., le
spedizioni di Alessandro procurano conoscenze nuove
e più precise sull'India e le regioni dell'Asia
centrale, e il cretese Nearco, comandante della
flotta di Alessandro, esplora le coste meridionali della
Persia.
All'inizio dell'epoca
ellenistica, la geografia è rivoluzionata da
Eratostene, che per primo, ripetendo forse un
tentativo di Dicearco, discepolo di Aristotele, usa
una proiezione scientifica del mondo su un planisfero,
e utilizza un sistema di paralleli e di meridiani. Le
sue conoscenze geografiche inglobano quelle dei suoi
predecessori, e si estendono alle sorgenti del Nilo,
al Mar Rosso, all'Africa del Nord; egli menziona la
Bretagna (Inghilterra) e Thule (Islanda); a Est conosce
l'India fino al Gange e a Ceylon (Taprobane). Dopo Eratostene,
Ipparco (II sec. a.C.) è uno dei costruttori
della geografia matematica; egli riprende la divisione
in longitudine e latitudine, disponendole a distanze
eguali, mentre Eratostene le aveva piazzate irregolarmente.
Il sistema è ripreso da Marino di Tiro
nel II sec. d.C. e perfezionato da Tolomeo, la
cui geografia è accompagnata da 27 carte, raccolte
nel V sec. da Agatodemo di Alessandria.
Accanto alla geografia
scientifica, si sviluppa una geografia descrittiva.
Certi autori sono solo viaggiatori, e le loro opere
sono specie di guide turistiche; la più conosciuta
è la descrizione di Pausania; ma, prima
di lui, Dicearco e Polemone di Ilio hanno
dato delle descrizioni ben più precise e vivaci.
Il summum della geografia descrittiva, che resta per
noi un tesoro per la conoscenza non soltanto dalla geografia
ma anche e dell'etnologia antica, è la Geografia
di Strabone (I sec. a.C.), che, con quella di
Tolomeo, riassume le conoscenze geografiche degli antichi
Greci. L'Europa è conosciuta quasi completamente,
eccettuata la Scandinavia, la cui esistenza è
peraltro accennata. In Africa, le terre note si estendono
fino al Niger, e dall'altra parte verso la costa orientale
fino ad Zanzibar. L'Asia meridionale è descritta
fino alle isole della Sonda, e all'oceano Pacifico;
Cina e Indocina non sono ignorate. Si ritrovano inoltre
in questi autori, e soprattutto in Strabone, degli elementi
di orografia, di idrografia, di climatologia e di geologia.
I
Libri ("biblia") [Top]
I libri antichi sono
scritti su papiro, o su pergamena. Il papiro è
utilizzato in Grecia per la scrittura a partire dal VI
sec. a.C. I fogli di papiro sono incollati l'uno all'altro,
e il nastro risultante arrotolato, spesso su un'anima
di legno. La lunghezza dei rotoli è variabile,
in genere limitata per facilitarne l'arrotolamento, ma
sono stati trovati in Egitto dei rotoli di oltre 40 metri.
Il testo è scritto
in colonne, di larghezza circa normalizzata a linee di
35 lettere; le linee sono numerate di 50 in 50 o di 100
in 100; il numero di linee è indicato alla fine
del volume. I titoli e i nomi dei capitoli sono scritti
con inchiostro rosso (da cui il nome latino rubrica);
il titolo è replicato su un'etichetta attaccata
al rotolo chiuso in una guaina o riposto in una scatola
speciale; i rotoli di una stesa un'opera allacciati insieme.
La pergamena proviene
da pelli (in generale di capra, pecora, o agnello neonato
per la pergamena di lusso) appositamente trattate. È
conosciuta in oriente già nel II millennio a.C.,
e al tempo di Erodoto (V sec. a.C.) i Greci d'Asia
Minore la utilizzano correntemente. È tuttavia
nel II sec. a.C. che la tecnica della pergamena si perfeziona.
Il materiale si diffonde, indubbiamente in seguito alla
creazione delle grandi biblioteche, in particolare quella
di Pergamo (da cui il nome "pergamena"). Contrariamente
al papiro, la pergamena può essere disposta in
quaderni, per formare dei libri simili ai libri moderni.
La pelle è tagliata
per formare dei fascicoli, in generale di quattro pagine
(l'in-quarto è il formato tradizionale per
le opere letterarie), poi i quaderni sono cuciti insieme.
Il titolo del libro è scritto in testa alle pagine,
e queste numerate. Nei libri di lusso le pagine possono
essere tinte di porpora, e le lettere in oro o argento.
Gli alessandrini usano libri illustrati, spesso con ritratti;
si conosce un libro di botanica in cui le piante studiate
sono anche disegnate. I libri erano redatti a mano da
copisti, o si dettava la stessa opera a molti copisti
contemporaneamente. Erano venduti commercialmente, e le
persone facoltose li facevano trascrivere da schiavi specializzati.
La Marina [Top]
La marina ha evidentemente
un ruolo vitale per un popolo disperso, che vive in continuo
contatto col mare, dal quale dipende la sua prosperità.
Lo sviluppo del commercio richiede importanti flotte commerciali,
e la marina da guerra si sviluppa sia per difendere le
vie commerciali, che per le imprese di pirateria e il
trasporto di soldati.
In epoca omerica, le
navi che effettuano il commercio sono anche armate per
il combattimento. I vascelli degli Achei, che trasportano
i guerrieri che vanno ad assediare Troia, sono navigli
a un rango di rematori, senza ponte, sufficientemente
leggeri per essere tirati in secca.
Nei periodi seguenti,
la marina si perfeziona e sviluppa al punto che certe
città esercitano una vera egemonia sul mare, costituendo
delle Talassocrazie; tra queste la più brillante
è Atene, chiamata "regina del mare".
Il modello più
perfezionato di nave da guerra è la "trireme".
Tucidide ne attribuisce l'invenzione al corinziano Aminocle,
alla fine dell'VIII sec. In realtà, la trireme
appare solo nel Vi sec., in Ionia. Anterriormente, la
nave da combattimento è la Pentecora, galera a
50 remi. Policrate di Samo possiede una cinquantina
di navi di questo tipo verso il 530 a.C., quando comincia,
sembra per primo, a equipaggiarsi di triremi. La pentecora
sarà completamente dismessa alla fine del secolo,
a vantaggio della trireme: la battaglia navale di Lade`,
piccola isola al largo della quale la rivolta delle colonie
greche è domata dai Persiani, vede gli Ioni allineare
solo triremi.
Sotto l'impulso di Temistocle,
gli ateniesi costruiscono 200 triremi tra il 483 e il
480, data della battaglia di Salamina. Le monoremi o le
biremi, a uno o due ranghi di rematori, sono ormai barche
troppo leggere o troppo lente.
In epoca ellenistica,
si fabbricano delle 'tetraremi' e delle 'pentaremi'. Sembra
che questi tipi di vascelli, pesanti e poco maneggevoli,
siano inaugurati da Dionigi di Siracusa all'inizio
del IV sec. Sono forniti di artiglieria, destinata a smantellare
le linee nemiche prima dell'abbordaggio, come nelle battaglie
navali dei nostri sec. XVII e XVIII. È la tattica
utilizzata del Demetrio Poliorcete, quando nel 306 affronta
la flotta egiziana comandata da Tolomeo Sotere.
La trireme misura 35-40
metri di lunghezza per 5-6 metri di larghezza, e pesca
circa 2 metri. È mossa da 170 remi (più
30 di ricambio), di lunghezza variabile tra 4,2 e 4,4
m, ed è armata alla prua di un possente sperone
in bronzo; le vele servono per la navigazione normale,
e per lasciar riposare i marinai, ma in combattimento
la nave era mossa unicamente dai rematori. Le vele sono
allora lasciate a terra, per non intralciare la manovra
o appesantire il naviglio. Tra la fine del V sec. a.C.
e la metà del secolo successivo, si è certi
che la triremi possiede due alberi (albero principale
e albero akateios). Sembra che dopo il 330 a.C.
rimanga solo l'albero principale.
Fino al V sec. a.C. le
battaglie in mare somigliano a quelle terrestri: le navi
si abbordano, e si tenta di eliminare l'equipaggio avversario;
così combattono corinzi e ciprioti nella battaglia
di Sivota (432 a.C.).
Gli ateniesi reinventano
e perfezionano la strategia navale: manovrano in modo
da rompere le linee nemiche, evitando il contatto, poi
utilizzavano il diekplous e il périplous;
la prima tattica consiste nello sfiorare la nave avversaria
per spezzarne i remi; il périplous prepara
invece lo speronamento della nave avversaria, che può
essere affondata senza perdite umane per il vincitore.
Dei 200 uomini che compongono
l'equipaggio della trireme ateniese, 170 sono rematori
professionali salariati. Dieci epibati, soldati
di marina, possono essere opliti dell'esercito regolare;
13 marinai sono incaricati della manovra e delle vele;
il trierarca o i trierarchi, che comandano la nave, sono
i cittadini finanziatori; sono accompagnati da un Kibernetes,
uomo di mestiere, forse incaricato di tenere il timone,
lungo remo piazzato lateralmente a poppa.
Il kéleuste
, capo del rematori, modula il ritmo dei rematori al suono
di un corno. I rematori sono ripartiti: sul banco superiore
(62 Traniti), sul banco intermedio (54 Zygisti), sul banco
inferiore (54 Talamiti).
Ad Atene, la flotta è
comandata da uno o più strateghi; altre città
separano il comando terrestre da quello marittimo, affidando
la flotta a degli ammiragli. A Sparta, potenza non marittima,
l'equipaggio di una nave è composto di iloti e
perieci; l'ammiraglio è nominato dagli Efori per
un anno, in genere non rinnovabile.
La Matematica
[Top]
I greci antichi conoscono
le diverse discipline della matematica: aritmetica, geometria
piana e nello spazio, trigonometria, algebra. Le cifre
greche - come in tutte le scritture antiche - sono rappresentate
da lettere alle quali si aggiunge un apostrofo, sistema
non privo di inconvenienti. In aritmetica, effettuano
le quattro operazioni e estraggono la radice quadrata;
conoscono le frazioni ordinarie, ma ignorano le frazioni
decimali. L'abaco è utilizzato per i calcoli semplici.
La geometria era utilizzata
dagli agrimensori egiziani per misurare la terra da distribuire
ai contadini dopo ogni inondazione. È possibile
che Talete di Mileto all'inizio del VI sec. a.C.
abbia acquisito durante un viaggio in Egitto diverse conoscenze
matematiche, e che abbia appreso laggiù a predire
le eclissi. Analogamente, può darsi che la geometria
greca abbia ereditato i suoi elementi dall'arte degli
architetti e ingegneri egiziani; tuttavia da queste osservazioni
e da questi insegnamenti, i Greci hanno creato una scienza
rigorosa e originale, fondamento della nostra propria
matematica.
Pitagora e i suoi
discepoli studiano la geometria in se stessa, in quanto
conoscenza di enti astratti che sfuggono ai cambiamenti
del mondo sensibile. Nel V sec. a.C. Platone vede
la geometria nello stesso spirito; questa scienza, rivolta
a oggetti ideali, gli sembra la chiave della sua metafisica
idealista, al punto di non ammettere all'accademia allievi
privi di conoscenze di geometria.
Teodoro di Cirene,
uno dei maestri di Platone, si pone il problema degli
incommensurabili (3, 5 ecc., fino a 17). Tre problemi
sono rimasti celebri: la duplicazione del cubo, la trisezione
dell'angolo e la quadratura del cerchio.
Ippocrate di Chio
(V sec. a.C.) è il primo a redigere un trattato
di geometria, fino allora scienza tenuta segreta nella
scuole pitagoriche; crea la geometria del cerchio e considera
il problema degli incommensurabili.
Nel IV sec. a.C. Teeteto,
discepolo di Socrate, fa dei lavori sui numeri razionali,
le progressioni e le proporzioni continue, e con Platone
e Ippocrate rappresenta la scuola di Atene. Il trattato
di Ippocrate è rivisto, con la supervisione di
Platone, da due suoi discepoli, Leone, e Teudio
di Magnesia.
L'altra grande scuola
del periodo ellenico, quella di Cnido, è rappresentata
da Eudosso, Aristeo e Menecmo (IV sec. a.C.); quest'ultimo,
discepolo di Eudosso e precettore di Alessandro il Grande,
risolve il problema della duplicazione del cubo. Nello
stesso periodo Ippia di Elide scopre la curva detta
quadratrice; Antifone perfeziona la geometria della
retta; Brisone di Eraclea completa i lavori di
Antifonte, e Archita di Taranto continua
degnamente la scuola pitagorica.
Il periodo ellenistico
(III sec. a.C.) si apre con Euclide, che elabora
un metodo espositivo quasi perfetto; Archimede,
che apre la via al calcolo infinitesimale; e Apollonio
di Perge, pioniere della geometria analitica. A Ipparco,
uno dei più grandi astronomi dell'antichità,
si deve l'invenzione della trigonometria.
L'epoca romana, pur meno
creativa, annovera altri lavori dei Greci d'oriente. Menelao
(I sec d.C.) pubblica un trattato di geometria sferica
che include un importante teorema sui triangoli sferici.
Nel II sec d.C. Tolomeo, nel primo libro del suo
Almagesto, dà un trattato di trigonometria piana
e sferica, e Nicomaco di Gerasa scrive una Introduzione
all'aritmetica.Teone di Smirne lascia un'esposizione
delle Matematiche necessarie alla comprensione di Platone.
Pappo di Alessandria (III sec. d.C.) compone parecchie
opere, trai cui il riassunto delle conoscenze geometriche
dell'antichità, corredato di un vasto commentario;
si trovano in questa opera dei teoremi originali e il
celebre problema di Pappo sui luoghi geometrici. Nel IV
sec. d.C. Sereno di Antinoe lavora sulle sezioni
del cono e del cilindro, e Diofanto d'Alessandria
descrive un sistema di simboli algebrici. L'algebra geometrica
è praticata fin dall'inizio dai matematici greci;
Diofanto crea un linguaggio adatto alla risoluzione delle
equazioni, senza tuttavia affrancarsi totalmente dalla
tradizione geometrica. Quando volgarizzano l'algebra,
gli arabi non fanno che perfezionare un sistema creato
dai Greci. Gli ultimi matematici sono dei commentatori
o degli editori: nel IV-V sec. d.C. Proclo commenta
Platone e il primo libro degli elementi di Euclide, Eutocio
di Ascalona pubblica la Sezioni coniche di Apollonio,
Teone di Alessandria pubblica verso il 370 d.C.
gli elementi di Euclide, e sua figlia Ipatia commenta
Diofanto e Apollonio.
Medicina [Top]
Nelle descrizioni di
Omero, la medicina appare già con un carattere
razionale; i feriti vengono bendati e curati, con qualche
unguento, senza ricorso a pratiche magiche.
È tuttavia negli
asclepeions che la medicina si sviluppa, prima
di staccarsi dall'influenza divina. Si sa molto poco della
medicina prima di Ippocrate; le conoscenze mediche si
trasmettono nelle 'famiglie', che accolgono e integrano
anche studiosi estranei alla comunità. Si sviluppano
così grandi scuole di medicina a Crotone, a Cirene,
a Rodi, e soprattutto a Cos e Cnido, brillanti rivali.
La scuola di Crotone
annovera Democede (~500 a.C.), medico pubblico
a Egina, poi ad Atene; indi medico di Policrate di Samo;
infine, medico e consigliere di Dario re di Persia, prima
di tornare a morire in patria.
Alcmeone, un pitagorico,
pratica la dissezione sugli animali e scopre i nervi.
A Cos pratica la famiglia
degli Asclepiadi, cui appartiene Ippocrate (V-IV
sec. a.C.); i suoi successori immediati sono Prassagora
di Cos e Diocle di Caristo. La scuola di Cos
pratica una terapia a base di diete e norme igieniche,
mentre i seguaci della scuola di Cnido utilizzano medicamenti,
in genere decotti di piante; il metodo farmaceutico si
svilupperà man mano che si perfezioneranno i medicamenti,
e sarà quello più utilizzato nelle epoche
successive.
La medicina si perfeziona
in epoca ellenistica grazie ai lavori di Erofilo di
Calcedonia, discepolo di Prassagora, e di Erasistrato
di Chio. I loro discepoli cadono però nel dogmatismo,
in reazione al quale la scuola empirica preferisce limitarsi
a descrivere le malattie.
Nel I sec. a.C., Asclepiade,
originario dell'Asia minore, è celebre a Roma;
combatte l'abuso di medicine, e prescrive l'igiene, diete,
cure termali, massaggi, passeggiate. Ippocrate resta il
suo maestro, commentato alla stessa epoca da Apollonio
di Cizio.
Nel I sec. d.C. un discepolo
di Asclepiade, Temisone di Laodicea, fonda la scuola
metodica, secondo cui le malattie provengono dallo stato
generale del corpo; di questa scuola, Sorano di Efeso
(II sec. d.C.), ginecologo e pediatra, enuncia giudiziosi
consigli sul modo di partorire e di curare i neonati.
A una scuola rivale si
deve la pneumatica, fondata da Ateneo (d'Asia
Minore), secondo cui è lo spirito, o pneuma,
che regola la salute o la malattia. Archigene di Siria
(fine I sec. d.C.) è il migliore rappresentante
di questa scuola - lo conosciamo tramite la compilazione
dei suoi lavori fatti da Arete di Cappadocia. Appare
come un notevole e penetrante osservatore, capace di descrivere
perfettamente l'evoluzione delle malattie e di raccomandare
una terapia a base di dieta, e bagni in acqua fredda,
o di sole.
Del II sec. d.C. si sono
conservati alcuni scritti di Rufo di Efeso, ma
è Galeno che domina tutta la medicina greca
in epoca romana, e ne è l'ultimo rappresentante.
Le grandi scuole dell'epoca ellenistica sono rimpiazzate
da quelle di Smirne, Pergamo, Alessandria, che brillano
accanto a quella di Cos.
L'insegnamento dispensato
in queste scuole comprende i corsi, studi clinici, e apprendistato
pratico. Le discipline essenziali sono l'anatomia per
lo studio del corpo, la patologia per lo studio delle
malattie, la terapeutica, conoscenza dei metodi di guarigione.
Non si sa quanto durassero questi studi; senza dubbio
a lungo, perché Tessalo di Tralle studiò
11 anni prima di praticare. Nessun diploma attesta gli
studi compiuti; i discepoli prestano giuramento di fedeltà
al loro maestro e devozione intera alla loro professione;
ciò non impedisce naturalmente l'esistenza di un
gran numero di ciarlatani.
La medicina conosce già
numerose specializzazioni: chirurghi, oculisti, dentisti,
ginecologi; le donne medico si occupano in genere di donne
e bambini. La farmacia non è una disciplina specializzata
a parte; sono i medici che si incaricano della preparazione
delle medicine.
Accanto ai medici privati,
con il loro dispensario, vi sono medici militari, aggregati
all'esercito; medici di ginnasio, e infine medici pubblici.
Si trovano medici pubblici a partire dal VI sec. a.C.
Le città si disputano a peso d'oro i medici famosi,
come Democede di Crotone nel VI sec. a.C.. Nelle
grandi città si trovano parecchi medici pubblici,
assistiti del loro allievi e da schiavi pubblici.
Ad Atene i medici pubblici
sono scelti dall'Ecclesia; hanno a disposizione un locale
vasto, ventilato e ben esposto, lo Iatroion, sorta
di dispensario comprendente delle sale chirurgiche, una
farmacia e forse camere per malati, curati gratuitamente.
I medici e le cure pubbliche sono finanziati da una tassa
apposita. I sovrani hanno in generale il loro medico personale;
quello del re di Persia è sempre greco: il più
famoso di questi nel V sec. a.C. è Ctesia.
Navigazione
[Top]
Con i Fenici, di cui
sono forse allievi e poi rivali, i Greci sono il più
grande popolo di marinai dell'antichità. In epoca
ellenistica sono padroni del mediterraneo orientale. Poiché
ignorano la bussola, nota in Cina nel II sec. d.C., i
navigatori greci si dirigono osservando il sole e le stelle;
ma praticano di preferenza la navigazione costiera, per
la quale dispongono di istruzioni nautiche.
All'epoca omerica (VIII
sec. a.C.), si naviga di giorno, e di notte si tira la
barca a riva se possibile. Le navi dell'epoca ellenica,
più pesanti e provviste di uno o due alberi con
vele quadrate e fiocchi, hanno una stazza di 200 a 400
tonnellate, e navigano giorno e notte, percorrendo una
media di 500 stadi (circa 50 miglia marine) al giorno;
ci vogliono cioè circa 16 settimane per andare
dall'Italia in India, e quattro settimane per recarsi
dall'Italia a Alessandria. L'inverno, da ottobre a aprile,
la navigazione in Mediterraneo è rallentata o interrotta
dal cattivo tempo. Alla fine dell'epoca arcaica, Mediterraneo
e Mar Nero sono completamente esplorati, prima dai Fenici
e poi dai Greci.
I Fenici andavano a caricare
lo stagno fino in Inghilterra, via l'Atlantico. Nel VI
sec. a.C. i Focesi tentano di seguirli forzando le colonne
d'Ercole (Gibilterra), gelosamente difese dai Fenici;
sembra che un Focese, Midacrite, abbia raggiunto
le isole Cassiteridi (od. Scilly) ricche di giacimenti
di stagno (gr. kassíteros). Nel IV secolo
a.C., il marsigliese Pitea passa anch'egli le colonne
d'Ercole, risale lungo le coste della Gallia e si avventura
probabilmente nel mare del Nord, dove scopre l'isola di
Thule (Islanda o Norvegia); il suo compatriota Eutimene
segue le coste dell'Africa fino al Senegal. Prima di lui,
i Cartaginesi, comandati da Annone, alla testa
di 60 navi, hanno fondato empori commerciali lungo la
costa del Marocco e spinto le loro navi fino a sud del
Senegal, forse fino al Camerun, nel golfo di Guinea.
I Greci orientano le
loro esplorazioni verso i mari del sud. Verso il 520 a.C.
sotto il regno di Dario, Scilace di Carianda (Asia
minore), discende l'Indo, seguendo le coste della Persia
e dell'Arabia, e giunge in Egitto dopo un periplo di due
anni e mezzo. È tuttavia solo con Alessandro il
Grande che l'esplorazione di queste regioni diventa sistematica.
Il cretese Nearco comanda la flotta di Alessandro
che a partire dalle bocche dell'Indo segue la costa persiana
fino in Susiana. Alessandro invia in seguito tre spedizioni
incaricate di esplorare le coste d'Arabia: Archia
raggiunge Tylos (Bahrein); Androstene giunge fino
al capo Masandam, all'uscita del golfo persico; Gerone
lo doppia, ma spaventato dall'aridità della costa,
torna indietro. Filone, ammiraglio di Tolomeo Sotere,
percorre il Mar rosso e scopre l'isola Zerbiget; con Tolomeo
II, Satiro esplora la costa dei 'trogloditi' (Eritrea,
Somalia), e fonda delle basi commerciali; Aristone
e Pitagora esplorano le coste dell'Arabia bagnate
dal Mar Rosso. Più attivo ancora, Tolomeo III elimina
la pirateria dal Mar Rosso, invia Simmia a esplorare
le coste africane e non cessa in seguito di organizzare
spedizioni in Mar Rosso.
Sotto il regno di Tolomeo
VII Evergete (II sec. a.C.), Eudosso di Cizico
effettua la circumnavigazione dell'Africa. Sembra certo
che questa impresa sia stata compiuta la prima volta daiFenici,
inviati dal faraone Necao nel VII sec. a.C.
I navigatori greci non
scendono a sud del capo Gardafui, salvo eccezioni. Di
ritorno dalle Indie, un Diogene perde la rotta
ed è trascinato fino al canale del Mozambico. Un
certo Teofilo naviga lungo le coste dell'Africa
orientale e segnala per primo le alte montagne del Kenya;
dopo di lui, Dioscoro giunge fino al capo Delgado,
a nord del Mozambico.
La rotta delle Indie
è aperta dopo numerosi tentativi. Dopo l'esplorazione
del Mar Rosso voluta dai primi Tolomei, è solo
con Tolomeo XI che viene scoperta l'isola di Socotra.
Verso il 50 a.C., un mercante greco apre la rotta del
golfo di Aden verso Muziris (l'attuale Cranganor), dopo
di ché il commercio con l'India e il sud del Mar
Rosso si sviluppa al punto che col regno di Augusto 120
navi partono ogni anno da Myos Hermos e da Berenice nel
golfo di Suez.
Nel I sec. d.C. un
navigatore greco, Ippalo, utilizza il regime
dei monsoni, detti allora venti di Ippalo, per andare
e tornare dall'India in navigazione diretta. Sulle sue
tracce i mercanti greci navigano regolarmente fino a
Trapobane (Ceylon o Sumatra), e, nel II sec., vanno
alla ricerca di mercanzie fino in Indonesia, Indocina
e Cina meridionale.
A uno di questi navigatori
è dovuta una guida preziosa, il Periplo del
mare di Eritrea, che descrive un itinerario marittimo
menzionando numerosi porti africani sull'oceano Indiano,
quelli dell'Arabia e dell'India, con le mercanzie che
si esportano e si importano in ogni porto, e gli scambi
possibili.
Numerosi resti di monete
romane e oggetti di origine alessandrina (ma di epoca
romana), trovati fino al sud Vietnam, confermano l'esistenza
di una navigazione commerciale in questi mari, in epoca
romana, ma senza dubbio dovuta a navigatori alessandrini.
Si può citare
ancora un certo Iambulo, nominato da Diodoro Siculo,
che, lasciato alla deriva nell'oceano Indiano dai pirati,
raggiunge dopo quattro mesi una vasta isola dal clima
piacevole (forse Madagascar) vicina a sette piccole
isole, e, cacciato da questa, deriva per altri quattro
mesi prima di arrivare in India a Palibothra (Patna),
da dove rientra in Grecia via la Persia.
E quell'Eufemio di
Caria, conosciuto da Pausania, che nel corso di un viaggio
in Italia fu trascinato dei venti verso l'oceano Atlantico,
dove giunge fino alle isole Satiridi; alcune
sono disabitate, altre abitate da uomini selvaggi con
capelli rossi pettinati a coda di cavallo; avrebbero
catturato e sodomizzato una donna della nave, ciò
che valse alle loro isole il nome greco di Satiridi.
Poiché i primi navigatori spagnoli descrivono
gli indigeni delle Antille pettinati con code di cavallo,
e aventi usanze particolari, si è voluto identificare
le isole Satiridi alle Antille.
Scienze [Top]
La Grecia riceve dall'Oriente
le prime conoscenze scientifiche. Tali conoscenze empiriche
vengono prima assimilate, poi passate al setaccio del
razionalismo caratteristico del pensiero greco, infine
classificate e sistemate fino a elevarsi al rango di scienza.
Di fatto, i Greci sono
gli inventori della scienza tale che noi la concepiamo,
e gli iniziatori della scienza occidentale.
Inizialmente, scienza
e filosofia non sono distinte, e si sviluppano nelle stesse
scuole. In Ionia, a Mileto dal VII-VI Sec. a.C., con Talete,
Anassimene e Anassimandro; a Efeso con Eraclito;
a Samo con Pitagora, che stabilisce la sua scuola
in Magna Grecia e pone le basi della geometria e dell'astronomia.
Nel IV sec. a.C. la scienza
continua le sue conquiste, sempre in seno alle scuole
di filosofia; essa resta un metodo teorico di spiegazione
dell'universo, costretto nel quadro di una dottrina filosofica.
Così è della scienza di Platone,
ma già con Aristotele appare uno sforzo
per separare la ricerca scientifica dalla speculazione
filosofica; è nella sua scuola del Liceo che nascono
la botanica e la zoologia.
È tuttavia solo
in epoca ellenistica che le scienze hanno un ruolo predominante,
e si liberano di ogni influenza filosofica; a partire
da quest'epoca, esse assumono anche un aspetto pratico,
e gli scienziati si applicano all'osservazione e alla
ricerca sperimentale. Già all'epoca di Platone,
questa tendenza si manifesta con gli scienziati siracusani,
che il grande filosofo ateniese rimprovera di orientarsi
verso l'aspetto pratico e sperimentale della scienza.
Le discipline scientifiche
greche restano circoscritte alla matematica, alla fisica
(e alla meccanica), all'astronomia, alla geografia, alla
botanica, alla zoologia e alla medicina. Altre discipline
restano embrionali; in geologia, numerosi autori antichi
segnalano l'esistenza di fossili marini all'interno delle
rocce, che spiegano con rivoluzioni geologiche; si trovano
alcune nozioni di mineralogia (soprattutto presso Teofrasto,
discepolo di Aristotele).
Le nozioni di chimica
restano elementari.
Altri principi meccanici,
ad es. la forza del vapore, non sono utilizzati praticamente,
forse per l'abbondanza di manodopera servile (solito luogo
comune).
Gli antichi popoli orientali
possedevano già delle cronache di carattere locale;
non si può quindi dire che i Greci abbiano inventato
la storia. Essi hanno però conferito alla storia
una dimensione universale, e ne hanno fatto un genere
letterario.
I primi storici di cui
si ha notizia erano chiamati logografi, nome che
si può interpretare come autore di discorsi in
prosa, in opposizione alla poesia.
Analogamente agli scrittori
di cronache orientali i logografi hanno redatto delle
genealogie, racconti di fondazioni città, panegirici
di famiglie patrizie e di singole città.
Cadmo di Mileto,
vissuto nel VI sec. a.C., è autore di una Fondazione
di Mileto. Altro importante logografo, pure di Mileto,
è Ecateo.
Il primo cui i Greci
abbiano dato il nome di storico, anzi di "padre della
storia", è Erodoto (Storie, V sec.
a.C.). Dopo di lui, Tucidide porta già il
genere alla perfezione. La sua Storia della guerra
del Peloponneso costituisce non solo la sorgente principale
della nostra conoscenza della storia greca di quel periodo
, ma si impone come un capolavoro della lingua Attica,
e un modello di trattazione, in cui sono analizzate le
cause degli avvenimenti riferiti, e la psicologia dei
personaggi descritti.
Senofonte (V-IV
sec. a.C.) con le sue Elleniche, è il continuatore
di Tucidide. Seppure la visione storica sia meno limpida
che in Tucidide, egli crea generi nuovi; una forma di
romanzo storico con la Ciropedia, un racconto di
storia vissuta con l'Anabasi, la biografia con
l'Agesilao, lo studio delle istituzioni politiche
con la Costituzione di Sparta.
Degli storici del IV
sec. restano solo estratti.
In epoca ellenistica
si assiste a una breve rinascita della storiografia, con
Polibio di Megalopoli, che fece parte degli ostaggi
inviati dai Greci a Roma nel 168 a.C., dopo la disfatta
dei macedoni di Perseo. Favorevole ai romani, diventa
amico dei figli di Paolo Emilio, Fabio e Scipione, e quando
rientra in Grecia nel 150 resta un grande amico di Roma.
I libri che rimangono delle sue Storie descrivono
la storia di Roma all'epoca della seconda guerra punica
e durante i decenni seguenti.
Di qualità inferiore
ma di vasto interesse è La Biblioteca storica
di Diodoro Siculo (90 a.C.). In quest'opera ambiziosa,
di cui manca una gran parte, Diodoro tratta la storia
delle origini del mondo, compresa l'Arabia le isole dell'Oceano.
La mitologia e la genealogia degli dei fanno parte dell'insieme.
Nel I sec. d.C. Dionisio
di Alicarnasso scrive la storia di Roma, e Flavio
Giuseppe quella del popolo ebreo e della rivolta degli
ebrei contro i romani (guerre ebraiche), cui partecipa.
Tra il I e il II sec. d.C., Plutarco scrive le
Vite parallele, raccolta di preziose biografie;
Arriano di Nicomedia è il più importante
storico di Alessandro il Grande; Appiano di Alessandria
e Dione Cassio Cocceiano scrivono entrambi di Storia
Romana., al pari degli primi storici latini del I sec.
a.C. - I sec. d.C. (Sallustio, Tito Livio, Tacito).
Vasi Greci [Top]
Nella produzione della
ceramica greca, particolarmente fiorente per tutto il
I millennio a.C., occupano un posto di primo piano i
vasi attici, che ne offrono la più vasta testimonianza.
Oltre all'indubbio interesse storico, derivante dal
fatto che le loro figurazioni ci documentano su molti
aspetti della vita del tempo, essi hanno un reale valore
artistico, presentandosi spesso come vere opere d'arte.
La produzione dei vasi
attici comincia ad avere caratteri propri nel periodo
dello stile geometrico maturo (o primo stile
del Dipylon), tra il IX sec. e il 750 circa a.C.
Le forme vanno dai grandi vasi monumentali (anfore e
crateri) alle piccole pissidi e tazze senza piede. La
decorazione, nera su fondo chiaro, è a
motivi rigorosamente geometrici (meandri, losanghe,
triangoli, cerchi concentrici) che seguono la forma
del recipiente. Le rappresentazioni figurate, sui vasi
di grandi dimensioni, comprendono scene funebri con
l'esposizione del morto, o schiere di combattenti e
carri di guerra. La figura umana è rappresentata
con semplicissimo schema, torso triangolare e membra
filiformi. Nel periodo del secondo stile del Dipylon,
che comprende la seconda metà dell'VIII sec.
a.C., la decorazione geometrica è meno schematica.
La figura umana si arricchisce: i gesti sono più
variati e, all'interno del volto, sono indicati l'occhio
e il naso. Le scene figurate si ritrovano anche su vasi
di dimensioni minori e nel repertorio figurativo compaiono
anche gli uccelli a lungo collo che preludono ai tipi
dello stile orientalizzante.
Quest'ultimo si identifica
in Attica con il protoattico, che si svolge durante
tutto il VII sec. a.C., attraverso tre fasi distinte.
Gli elementi geometrici vengono sostituiti da ornamenti
curvilinei e la decorazione, che si sviluppa dapprima
in zone sovrapposte, tende successivamente ad accentrarsi
in un'unica scena su quasi tutta la superficie del vaso.
Il disegno, in parte a tratto in parte a incisione,
è a figure nere, ma arricchito spesso da coloriture
in bianco.
La produzione del VI
sec. a.C. è indicata con il nome di ceramica
attica a figure nere e a partire da questo periodo
l'Attica contribuisce in maniera essenziale e quasi
esclusiva all'arte ceramica greca. Dall'antico Pittore
della Gorgone a Sofilo, Clizia e Lido, i vasi attici
vanno arricchendosi sempre più di motivi e la
pittura si perfeziona fino a raggiungere figurazioni
complesse e movimentate. Nella seconda metà del
VI sec. a.C. le personalità di Exechia e del
Pittore di Amasi contribuiscono alla definizione di
una tecnica e di uno stile in cui le figure attinte
ai vari cicli, epico o dionisiaco, si collocano a episodi
isolati e determinati sulle due facce del vaso. Comincia
a essere evidente in questo periodo la stretta affinità
tra le figure dipinte e la produzione plastica contemporanea.
E ormai il pittore non si limita a creazioni puramente
grafiche, ma fa vivere le sue figure in un mondo di
passioni, di gioia, di dolore, esprimendo nella posizione
e soprattutto nel volto la condizione psicologica del
rappresentato.
Lo stile a figure nere
prosegue attraverso maestri minori fino a circa il 480
a.C., ma dal 530 già era iniziata la produzione
della ceramica attica a figure rosse. L'innovazione
tecnica di decorare il vaso in nero e risparmiare in
esso il fondo rosso della figura, che poteva quindi
essere arricchito con tratti neri, è attribuita
al Pittore di Andocide.
Eufronio ed Eutimide
sono le altre personalità maggiori di questa
prima fase o dello stile severo, che ha i suoi capolavori
nella produzione dei Pittori di Berlino e di Brigo,
e in Macrone e Duride. Le scene sono composte di elementi
essenziali, senza indulgenze decorative: l’attenzione
è rivolta all'anatomia delle figure nude e al
drappeggio in quelle vestite, con grande rigore grafico.
La figura di Polignoto
di Taso in pittura e quelle di Calamide e Fidia in scultura
portano a innovazioni anche nella ceramica. Le scene
si movimentano e vengono costruite a piani sovrapposti
(Pittore dei Niobidi) o si arricchiscono di notazioni
patetiche (Pittore di Pentesilea). Alla metà
del secolo il Pittore di Achille traduce in immagine
dipinta il classico e solenne stile fidiaco, con elementi
della scultura di Policleto. L'ultima parte del V secolo
è dominata in pittura dai due grandi maestri
Parrasio e Zeusi, ma anche la migliore produzione ceramica
risente solo in parte delle loro innovazioni. Per il
primo la linea che costruisce il disegno era anche un
espediente che tendeva alla definizione e al suggerimento
di un volume; per il secondo il problema centrale dell'esperienza
pittorica era la prospettiva e quindi il chiaroscuro:
problemi e relative soluzioni difficilmente trasferibili
nella pittura ceramica.
I ceramografi che esprimono
meglio le tendenze e le caratteristiche di questo periodo
sono i Pittori del Canneto e del Triglifo, nonché
il Pittore R. Alla fine del V sec. a.C. appartiene anche
il Pittore di Midia, la cui produzione, ricca di motivi
e complessa nelle costruzioni, ha un vasto seguito manierista,
dove il tormentato e capriccioso svolgersi delle linee,
la struttura gracile e l'intonazione patetica cadono
nello stucchevole e nel risaputo.
Tra il VI e il IV
sec. a.C. vanno ricordate anche le anfore panatenaiche.
Dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso
e la sua conseguente decadenza nel campo politico, la
produzione ceramica si ripete per alcuni decenni attraverso
la ripresa stanca di tipi e di repertori, per poi cessare
completamente come forma d'arte, continuando la produzione
della ceramica nera.
Appendice: Pesi
e Misure [Top]
NB. I valori delle varie unità variavano apprezzabilmente
secondo la regione e l'epoca. I valori in tabella sono
quindi indicativi. |