Nicomaco Flaviano ? (Virio), letterato e uomo politico romano (334-394 ). Trascorse la vita tra gli studi e alte cariche civili e militari, occupandosi di storia, di filosofia e di grammatica. Già vicario d'Africa (363) fu poi nominato questore di palazzo (382) e in seguito prefetto del pretorio per l'Italia, l'Illirico e l'Africa. Avversario dei cristiani e amico di Simmaco, sostenne la rivolta dell'usurpatore Flavio Eugenio contro Teodosio; ma, tradito dalle sue truppe prima della battaglia nella valle del fiume Frigido, si uccise.

Nicomaco di Gerasa, matematico greco della fine del I sec. d.C. Gli si devono una Introduzione aritmetica, nella quale per la prima volta l'aritmetica veniva considerata come scienza autonoma e un Manuale di armonia, sulla musica pitagorica, che, durante il medioevo, godette di notevole fama.

Nicomede, matematico del II sec a.C. È noto per avere definito la curva nota con il nome di concoide di Nicomede, utilizzata per risolvere il problema della trisezione dell'angolo.

Orazio, poeta latino a Roma (65-8 a.C.).

Oribasio,  medico greco di Bisanzio (325-403 d.C.). Medico personale dell'imperatore Giuliano l'Apostata; compose le Raccolte mediche, che, conservatesi in parte, costituiscono una delle principali fonti per la storia della medicina antica. Oltre a un riassunto in nove libri (Sinossi) della sua opera principale, scrisse un compendio di nozioni di medicina pratica, dedicato ai profani.

Panini, grammatico indiano (V o IV sec a.C.). Espose, con estrema concisione, i princìpi della fonetica, della morfologia e della sintassi del sanscrito. Prima grammatica della lingua sanscrita, e insieme opera di straordinario valore scientifico, determinante per lo sviluppo della linguistica indoeuropea. Panini ha fissato i tratti del sanscrito classico, rimasto sostanzialmente invariato sino ai nostri giorni.

Pappo, matematico alessandrino, vissuto fra il III e il IV sec. La sua opera principale, Collezione matematica, in otto libri, è un lavoro di grande importanza per la ricca documentazione: nell'intento di chiarire le difficoltà lasciate nelle dimostrazioni dei suoi predecessori, Pappo analizza e commenta infatti nella sua opera numerosi passaggi di opere anteriori delle quali poco si saprebbe senza di lui.

Parmènide di Elea, filosofo greco, fondatore della scuola di Elea, in Magna Grecia (520 - 440 a.C.). Della sua vita si sa pochissimo. Platone, che lo chiama "terribile e venerando", parla nel dialogo intitolato col suo nome di un viaggio di Parmenide ad Atene in compagnia di Zenone e di un incontro con Socrate giovanissimo. Della sua opera Sulla natura (Perì phýseos) rimangono circa 160 versi. La tesi fondamentale di Parmenide: "l'essere è, il non essere non è" presuppone la scelta della via del pensiero, che persuade e svela la vera natura del reale, e l'abbandono di quella dei sensi, che è ingannevole e contraddittoria. Le tesi di Parmenide, difese da Zenone di Elea con alcuni celebri argomenti (paradossi), esercitarono una grande influenza sull'ulteriore evoluzione del pensiero greco.

Pirróne, filosofo greco (Elide 365 - 275 a.C.). Fu alla scuola di Anassarco di Abdera, discepolo di Democrito, con il quale seguì Alessandro Magno nella spedizione in Asia, dove venne in contatto con i sofisti indiani. Tornato a Elide dopo la morte di Alessandro, si fece ammirare per la vita semplice e austera, conforme allo spirito della sua filosofia, tanto che la città natale eresse una statua in suo onore. Pirrone è considerato il fondatore della scuola scettica. Il tratto distintivo della sua dottrina è il rifiuto di ogni affermazione, anche sul piano dell'opinabile. (gia` Gorgia: la conoscenza è impossibile, per il continuo mutare del contenuto e del soggetto della percezione). L'accettazione indifferente di tutte le apparenze è l'unico atteggiamento ispirato a saggezza: il sapiente sceglie la sospensione del giudizio (epoché) e il silenzio (afasia) e vive immune dalle passioni, in uno stato di assoluta imperturbabilità (atarassia). Si desume il suo pensiero dai frammenti superstiti dell'opera del suo scolaro Timone di Fliunte.

Pitàgora, filosofo greco (Samo 570 a.C. - Metaponto 497 a.C.). Si trasferì da Samo a Crotone, in Magna Grecia, fondandovi una setta filosofico-religiosa. Altre comunità si costituirono ben presto in molte città dell'Italia meridionale, esercitandovi un'influenza politica di orientamento aristocratico e conservatore. Travolte da una crescente opposizione popolare, tali comunità si dissolsero nel giro di circa un secolo. Secondo una tradizione Liside, esule da Crotone a Tebe, fondò qui una comunità pitagorica, alla quale appartennero Filolao, il pensatore più illustre del pitagorismo del V sec., e Simmia e Cebete, gli interlocutori del Fedone platonico. Con Archippo il pitagorismo tebano ritornò nella Magna Grecia, a Taranto: un maestro della comunità tarantina fu Archita, amico di Platone. L'eredità del pitagorismo classico, estintosi poco dopo la morte di Archita, fu più tardi raccolta e rinverdita dal neopitagorismo. Non meno del patrimonio etico-religioso, garantito dall'autorità del fondatore (l'ipse dixit proviene dalla tradizione pitagorica) e trasmesso per via orale agli iniziati (detti perciò "acusmatici", cioè "abituati ad ascoltare"), ha contato nella storia della civiltà il complesso delle scoperte dei "matematici", cioè dei membri della setta impegnati ad approfondire e a sviluppare l'insegnamento scientifico del maestro. Proclo ricorda il teorema sulla somma degli angoli interni di un triangolo, la costruzione di alcuni poliedri regolari e la dimostrazione della incommensurabilità della diagonale con il lato del quadrato, accompagnata dalla sconvolgente scoperta dei limiti di applicazione dei numeri razionali. In aritmetica i pitagorici studiarono la struttura dei numeri e delle progressioni aritmetiche, individuando i numeri "perfetti" (cioè uguali alla somma dei loro divisori, come 6, 28, 496), e dimostrando che la somma dei primi n numeri dispari è uguale a n². La fissazione in dieci del numero dei corpi celesti e l'affermazione che essi ruotano tutti intorno a un fuoco centrale costituiscono le posizioni tipiche dell'astronomia pitagorica, di evidente ispirazione eliocentrica. Per ciò che riguarda la teoria musicale, i pitagorici studiarono i rapporti numerici delle lunghezze delle corde della lira in relazione alle varie consonanze. La gamma detta ancora "di Pitagora" è una scala costruita riportando nell'intervallo di una ottava i suoni costituenti una successione di quinte giuste naturali: fa, do, sol, re, la, mi, si. Sembra verosimile che, almeno per i pitagorici più antichi, la riduzione della realtà a numero rappresentasse il principio fondamentale della comprensione scientifica della natura. Elemento essenziale della concezione pitagorica è anche la dottrina dei contrari, sul ritmo dei quali si scandisce la vita del cosmo. L'equilibrio dei contrari è "armonia". La medicina e la filosofia restaurano gli equilibri turbati, purgando e vivificando il corpo e l'anima. Anche a Pitagora la tradizione attribuisce un viaggio di studio a Creta e in Egitto.

Pitèa, navigatore e geografo greco di Massalia (Marsiglia) [IV sec. a.C.]. Secondo Polibio, che d'altronde non gli presta alcuna fede, avrebbe compiuto due viaggi nei mari dell'Europa settentrionale, che sarebbero stati descritti, secondo altre fonti, rispettivamente nel Perì Okeanû (Sull'Oceano) e nel Periplo. Nel primo, oltrepassato lo stretto di Gibilterra, dopo aver costeggiato la Spagna, la Francia e la Cornovaglia, entrato nella Manica, avrebbe circumnavigato in parte la Britannia e raggiunto l'isola di Tule (Islanda [?], Norvegia [?]); nel secondo, percorsa la costa occidentale dell'Europa, si sarebbe spinto fino a un fiume chiamato Tanai (estuario dell'Elba o della Vistola) presso un'isola ricca d'ambra. Oggetto di contrastanti giudizi nel mondo antico, Pitea gode per lo più credito presso i moderni e non solo nel campo matematico- astronomico, in cui le osservazioni sulle latitudini, sul rapporto fra le maree e i movimenti della luna, ecc., furono già verificate da Ipparco e da Eratostene, ma anche in quello propriamente geografico.

Platóne, filosofo greco (Atene 427-347 a.C.). Verso i vent'anni divenne discepolo di Socrate, di cui ammirava la concezione di una politica secondo giustizia. Deluso del governo oligarchico dei Trenta tiranni del 404, nutrì dapprima fiducia nella restaurazione democratica; il governo democratico si rivelò invece il peggiore di tutti (v. condanna a morte di Socrate, 399). Scomparso Socrate, Platone si recò per qualche tempo a Megara; compì poi parecchi viaggi: in Egitto, a Cirene, a Taranto (dall'amico Archita) e nel 388 a Siracusa, governata da Dionigi il Vecchio: qui strinse amicizia con Dione, cognato del tiranno. Ritornato ad Atene, fondò (nel 387 circa) l'Accademia, comunità religiosa modellata su quelle pitagoriche e scuola filosofica erede della tradizione socratica. Morì a ottant'anni, lasciando la guida dell'Accademia al nipote Speusippo.
Di Platone ci sono pervenuti 35 Dialoghi (Apologia di Socrate, Critone, ecc.), e 13 Epistole. I dialoghi della piena maturità sono quelli in cui egli costruisce il suo sistema (Cratilo, Fedone e soprattutto La repubblica, in dieci libri). L'universalità dei nostri concetti è costituita dalle "idee", ossia da modelli eterni e immutabili, concepiti come essenze incorporee, aventi una propria realtà oggettiva, in un mondo (iperuranio) diverso da quello sensibile, il quale è soltanto la copia e la pallida immagine della vera realtà, che appunto si identifica con il mondo delle idee.
Gli ultimi dialoghi, posteriori alla Repubblica - Fedro, Parmenide, Teeteto, Il sofista, Il politico, Timeo, Crizia, Filebo e Le leggi - dove Socrate non è più l'interlocutore principale, son dedicati alla revisione critica della teoria delle idee e a risolverne le interne difficoltà. Platone non considera piu` con distacco il mondo della natura, pur senza condividere il naturalismo dei presocratici. Anche in campo politico Platone non ha più di mira il modello ideale dello Stato come nella Repubblica, ma propone (nelle Leggi) una costituzione politica mescolanza di monarchia e di democrazia.
Il dialogo platonico non è un mero artificio didascalico, come sarà in quasi tutti gli autori che vorranno imitarlo; in esso appaiono vivamente rappresentate, in forma drammatica, le personalità e i caratteri di coloro che discutono. La prosa di Platone, di straordinaria vivacità e perfezione linguistica, si piega sia al rigore dell'astrazione sia agli slanci poetici.

Plinio il Giovane , funzionario imperiale e letterato latino (Como 62 – 114 d.C.). Nipote e figlio adottivo di Plinio il vecchio.Legato di Augusto nel Ponto e in Bitinia dal 111. Ha lasciato un Panegirico a Traiano e un Epistolario in dieci libri, di cui i primi contengono 274 lettere a parenti e ad amici, l'ultimo, aggiunto dopo la morte, 72 lettere a Traiano con 50 risposte dell'imperatore. L'Epistolario presenta un particolare interesse, perché offre una visione chiara e ampia della vita del tempo facendone conoscere gli usi, i costumi, la cultura e le diverse classi sociali. La corrispondenza con Traiano costituisce uno dei primi documenti storici riguardanti i cristiani e mette in luce con quanto scrupolo e umanità Plinio esercitasse il difficile ufficio della giustizia. Piuttosto scarso, invece, al contrario di quello ciceroniano, il valore letterario, a causa dell’autocompiacimento dell’autore.

Plinio il Vecchio (Caio Secondo), storico e naturalista latino (Como 23/24 - Stabia 79 d.C.). Servì come ufficiale di cavalleria in Germania al tempo di Claudio. Visse appartato sotto Nerone, fu con Vespasiano procuratore in Gallia, in Africa e in Spagna. Mori` per osservare da vicino l'eruzione del Vesuvio nel 79; la sua morte ci è tramandato dal nipote, Plinio il Giovane, in una famosa lettera a Tacito. Funzionario esemplare, di rara integrità, storico coscienzioso ed erudito illuminato, all'attività pratica congiunse l'amore per lo studio. Lascio` molte opere riguardanti l'arte militare, la storia delle guerre in Germania (Bellorum Germaniae libri XX) e delle vicende di Roma, e ultima, in 37 libri, giunta a noi integra, la Naturalis Historia, vera e propria enciclopedia.
Dopo la dedica a Tito e l'elenco dei libri (2.000) usati e degli autori citati (500), nel seguente ordine: cosmografia (II), geografia ed etnologia (III -VI), antropologia e fisiologia (VII), il regno animale (VIII -XI), il regno vegetale (XII -XIX), botanica (XX- XXVII) e zoologia (XXVIII -XXXII), in relazione al loro impiego in medicina, mineralogia, metallurgia e un sommario della storia dell'arte, unica opera di tal genere (XXXIII-XXXVII). L'opera "spaziosa ed erudita e varia quanto la natura", se manca di vero spirito scientifico, è animata da un appassionato amore per il sapere e dall'ambizione di farne partecipi i suoi concittadini. Unica nel suo genere in tutta l'antichità, la Naturalis Historia è l'espressione genuina della mentalità pratica dei Romani.

Plutarco, biografo e filosofo greco (Cheronea 46 - 127 d.C. ). Studiò ad Atene la retorica, le scienze, la matematica e la filosofia neoplatonica. Compì poi parecchi viaggi nelle terre dell'Impero. Fu in Asia Minore, in Egitto, in talune importanti città della Grecia e a Roma, contraendo amicizie illustri. Verso i 45 anni si ritirò nella natia Cheronea, che gli procuraro` l'ambiente confortevole per la sua ponderosa opera di scrittore. La stima dei connazionali si manifestava con l'assegnazione di cariche importanti. All'opposto del contemporaneo Luciano, Plutarco ebbe un culto vivo e appassionato della civiltà greca nelle sue varie manifestazioni; sentì il valore della scienza esercitata nei secoli con tanta acutezza e dovizia di risultati, degli studi linguistici e retorici, della produzione letteraria e degli uomini politici greci più rappresentativi. Opere salienti i Moralia e le Vite parallele; convinto che la biografia più che la storia renda possibile la conoscenza degli uomini. Grande fu il suo influsso sulla letteratura europea moderna.

Polibio, storico greco (Megalopoli 203 a.C. - 120 a.C.). Sostenitore dell'opportunità di restare neutrale, dopo la vittoria di Paolo Emilio a Pidna (168) venne accusato dinanzi al senato da Callicrate, ambasciatore della Lega achea, di aver perseguito una politica equivoca nei riguardi dei Romani. Venne perciò incluso tra i 1.000 Achei inviati in Italia per giustificare il loro atteggiamento e quivi trattenuti come ostaggi e confinati in diverse città della penisola. Polibio fu invece trattenuto nella capitale nella casa di Paolo Emilio, dove ne educò i figli e strinse profonda amicizia con il più giovane di essi, Scipione Emiliano. Conobbe molti personaggi del mondo politico e culturale del tempo ed ebbe modo di meditare sul "miracolo" della grandezza dei "barbari" Romani, incominciando a scriverne la storia. Ormai libero, solo o al seguito di Scipione, compì numerosi viaggi: prima nell'Italia meridionale a parecchie riprese, poi, con Scipione, in Africa, Spagna e Gallia, passando in Italia per lo stesso valico attraversato da Annibale, onde conoscere le difficoltà che il condottiero cartaginese aveva incontrato. Nel 150 accompagnò in patria i 300 superstiti dei 1.000 ostaggi achei, lasciati liberi anche per sua intercessione. Ma vi rimase poco, poiché nel 147 raggiunse Scipione che assediava Cartagine e assistette alla distruzione della città. Non gli fu così possibile impedire l'ultimo e temerario tentativo della Lega achea di ribellarsi ai Romani e sottrarre Corinto alla distruzione; poté solo, al suo ritorno, ottenere dai vincitori condizioni miti per i suoi compatrioti e, nel compito affidatogli di riorganizzare la Grecia, si adoperò per un assetto stabile e accettabile. La fama di Polibio rimane legata alla parte superstite delle Storie (Historíai), l'opera sua principale, divisa in quaranta libri e pubblicata interamente solo dopo la sua morte. Di essa restano i primi cinque libri integri, excerpta (estratti). Le Storie dovevano esporre la storia di Roma dai prodromi della seconda guerra punica alla terza guerra macedonica, cioè di quei 53 anni (220-168) in cui la città divenne una potenza marinara e dominatrice del Mediterraneo. In seguito furono aggiunte le vicende degli anni 168-145, culminanti con la sottomissione della Grecia e la distruzione di Cartagine. L'opera presenta uno dei più interessanti metodi di ricerca storica su basi scientifiche del mondo antico e costituisce, con la ricchezza di dati e di informazioni (istituzionali, militari, geografiche, ecc.), un complemento indispensabile per una migliore comprensione di Livio e per una conoscenza più precisa dello Stato romano nei suoi ordinamenti e nelle sue direttive negli anni cruciali dell'espansione.

Popper, Karl, filosofo della scienza austriaco (Vienna 1902 – Londra 1994). Pubblicò nel 1934 un'opera fondamentale, Logica della scoperta scientifica. Emigrato a causa delle leggi razziali del 1937, fu chiamato a Londra nel 1946 come docente di logica presso la School of Economics. Un altro aspetto della sua speculazione, è l'attenzione rivolta alle scienze storiche e sociologiche (La società aperta e i suoi nemici, 2 voll., 1945). Altre opere: Miseria dello storicismo (1957); Congettura e confutazioni: lo sviluppo della conoscenza scientifica: Un punto di vista evoluzionistico(1972); La ricerca non ha fine, ecc.

Porfirio, (Malchos, 233 - 305 d.C.), filosofo neoplatonico greco di origine siriaca, morto a Roma.
 

Posidònio di Apamea, filosofo stoico, erudito e scrittore greco (Apamea di Siria, 135 - 51 a.C.). Allievo di Panezio ad Atene, aprì e diresse a sua volta una scuola a Rodi, dove ebbe tra gli uditori Pompeo e Cicerone. Spinto dai suoi vivissimi interessi geografici ed etnografici, fu un viaggiatore instancabile del bacino del Mediterraneo, dall'Egitto e dalla Palestina all'Italia, alla Gallia, alla Spagna (fino a Cadice). Soggiornò diverse volte a Roma (nell'86 in qualità di ambasciatore della sua città) e morì all'età di 84 anni. In filosofia fu, insieme con Panezio, uno dei massimi rappresentanti del cosiddetto "stoicismo di mezzo" (media stoà), caratterizzato da un orientamento eclettico, accogliendo in particolare nel proprio sistema elementi neoplatonici. In realtà Posidonio fu una mente enciclopedica, volta a indagare ogni ramo dello scibile (dalla geografia e dall'etnografia alla matematica, alla storia e persino alla mantica), e per la sua attività egli può essere paragonato solo ad Aristotele, sebbene egli appaia piuttosto un divulgatore che non un sistematore. Della sua vasta produzione, utilizzata ampiamente dagli scrittori posteriori (Sallustio, Cesare, Strabone, Plinio il Vecchio e Tacito tra gli altri) non restano che 23 titoli di opere ed esigui frammenti, in particolare de Le Storie, 52 libri che dovevano continuare l'opera di Polibio fino alla dittatura di Silla (82); sorta di storia universale gravitante intorno a Roma.

Prassagora di Cos, medico greco (seconda metà del IV sec. a.C.). Sappiamo poco della sua vita; nacque in una famiglia di medici, e fu uno dei più famosi e citati esponenti della medicina antica. Dei suoi scritti, che sappiamo trattavano la medicina teorica e clinica, non ci è pervenuto nulla, tranne le citazioni di autori posteriori (Galeno e  Celio Aureliano). Esponente della dottrina umorale, non si dedicò agli studi anatomici (la cui importanza fu pienamente riconosciuta solo a partire dal suo allievo  Erofilo). In campo fisiologico la sua opera marcò invece un passo decisivo dalla concezione umorale a quella dei molti fluidi corporei. Interessante il fatto che P. riteneva il processo digestivo concettualmente simile alla putrefazione, come del resto  Empedocle e  Diocle di Caristo prima di lui. La tradizione vuole che a P. risalga la distinzione tra vene e arterie, ma è certo che prima di lui a tale distinzione giunsero Nicarco e lo stesso Diocle. Certo è però che fu la dottrina di P. sulla natura delle arterie a fare scuola nella fisiologia antica, arterie che egli riteneva responsabili della conduzione del pneuma vitale dal cuore in tutto il corpo. Ritenne le arterie caratterizzate da un costante assottigliamento nel procedere dal cuore verso le parti esterne del corpo, e il loro lumen destinato infine ad annullarsi. Alla parte delle arterie a lumen più ridotto P. assegnò il compito di muovere le estremità del corpo. L’interesse di Erofilo per il polso e la determinazione del battito cardiaco può essere visto come influenza diretta delle dottrine di P., che sembra essere stato il primo a interessarsi allo studio sistematico del fenomeno. D’altra parte, ritenne che le arterie pulsassero indipendentemente dal battito cardiaco, anziché in risposta. La correzione di questo errore avvenne solo attraverso Erofilo. Nella medicina clinica, i suoi trattati sull’eziologia, la sintomatica e la terapia delle malattie acute e croniche fecero scuola, e la sua stessa dottrina del «pneuma» (anziché sangue, all’interno delle vene) dominò la storia della medicina per almeno quattro secoli. Anche l’alto numero di falsi pervenutici sotto il suo nome, induce del resto a ritenere P. tra i grandi della medicina antica.

Proclo, filosofo neoplatonico greco (Costantinopoli 412 - 485 d.C.). Studiò prima ad Alessandria e poi ad Atene, che diresse per oltre trent'anni, fino alla morte. È, dopo Plotino, la figura più notevole del neoplatonismo, di cui fu l'ultimo grande rappresentante. Fra i suoi scritti alcuni Commenti a dialoghi platonici (Timeo, Parmenide, Teeteto, Cratilo, Repubblica, Alcibiade primo) e il Commento al primo libro di Euclide, fonte preziosa per la ricostruzione della storia della geometria antica.

Protàgora di Abdera, (Tracia) 486- 410 a.C. Filosofo greco, grande sofista.
Viaggiò in Sicilia e nell'Italia meridionale, ma il centro della sua attività fu Atene, dove godette di grande prestigio e di amicizie illustri, come quelle di Euripide e di Pericle. Conquistò fama e ricchezza insegnando l'arte oratoria e la tecnica del disputare. La sua opera Sugli dei gli procurò l'ostilità dell'ambiente conservatore e un'accusa per empietà e ateismo: fu condannato all'esilio e i suoi libri bruciati pubblicamente. Morì nel naufragio della nave che lo stava portando in Sicilia. Protagora è il primo che si fece chiamare "sofista", e cioè maestro di "educazione e di virtù". Un frammento dell'opera condannata esprime un chiaro atteggiamento agnostico: degli dei non sappiamo nulla ed è inutile insistere nella ricerca, "per l'oscurità della questione e la brevità della vita". L'altro frammento costituiva la frase iniziale dell'opera La verità: "L'uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono, in quanto sono; di quelle che non sono, in quanto non sono". Tra le numerose interpretazioni, la più attendibile (Teeteto) sembra essere: non c'è opposizione fra l'"essere" e il "parere", e Parmenide ha torto; vero è ciò che a ciascuno sembra e dunque "l'opinione" e "la verità" coincidono. In ciò sta anche la ragion d'essere dell'oratoria sofistica, che mira a "rendere più forte il discorso più debole".



F. Soso, Dec  2000