IL CASO DEL KOSOVO
Il vittimismo dei serbi e i suoi disastri

Lord Carrington, uno dei «mediatori» agli inizi del conflitto balcanico seguito alla disintegrazione della Jugoslavia, giunse alla conclusione che Slobodan Milosevic era un uomo molto pericoloso. Ben disposto verso la Serbia (in sintonia con il governo inglese), Carrington disse al defunto dittatore che capiva benissimo le sue preoccupazioni riguardo le consistenti minoranze serbe in Bosnia e Croazia.
Ma perché Milosevic insisteva tanto per mantenere anche il controllo esclusivo sul Kosovo, dove la popolazione albanese sfiorava il 90%? «In quel caso - rispose Milosevic freddamente - è per motivi storici».
E' un peccato, in retrospettiva, che ci sia voluto tanto tempo per diagnosticare questa patologia tipicamente serba, un connubio tra arroganza e vittimismo, grazie alla quale tutto quello che appartiene a loro è di loro esclusivo possesso, mentre quello che appartiene agli altri rimane sempre negoziabile.
Abbiamo letto questo stesso proclama atavico tra i bagliori infernali di Sarajevo in fiamme, e oggi ne cogliamo un riflesso tra le fiamme dell' ambasciata statunitense a Belgrado, e alla luce di incendi simili, anche se meno catastrofici, appiccati dai serbi nel Nord del Kosovo.
Occorre tuttavia capire che la «Serbia» stessa non ha perso nulla e non ha nulla di cui lamentarsi. Con l' indipendenza del Kosovo, l' ideale della Jugoslavia sarà finalmente e totalmente sepolto, ma è stato l' irredentismo serbo a cancellare le ultime vestigia di quell' ideale e saranno i serbi a dover accollarsi tutte le responsabilità.
Dimenticate le sciocchezze che avete sentito sul Kosovo, che sarebbe la «Gerusalemme» della Serbia. Certo, ospita sul suo territorio splendidi e antichi monumenti serbi e serbo-ortodossi, ma si potrebbe definire a ragione la Cisgiordania oppure la Striscia di Gaza della Serbia, con una popolazione straripante, rinchiusa e soggiogata che per generazioni si è vista trattare come feccia nella sua stessa terra natale.
Nessuno, che abbia trascorso qualche giorno in quel territorio può credere per un solo istante che i kosovari siano disposti ad accettare nuovamente il governo di Belgrado. E' davvero finita. Ma com' è iniziata questa vicenda? In realtà, il Kosovo non è mai stato riconosciuto ufficialmente come parte della Serbia, bensì della Jugoslavia, e con la liquidazione di quello Stato le pretese serbe sul territorio sono state del tutto invalidate. Qui occorre fare qualche precisazione storica.
Durante la Guerra dei Balcani del 1912 e 1913, l' allora ben distinto Regno di Serbia, con qualche alleato regionale, riuscì effettivamente a invadere e annettersi un territorio già ottomano che aveva visto una sconfitta militare serba nel - siete pronti? - 1389 (in quell' anno, l' Inghilterra vantava pretese territoriali su vaste e amene regioni francesi).
La propaganda monarchica e nazionalista serba accolse trionfalmente la «liberazione» della terra ancestrale, ma il più acuto inviato speciale dell' epoca la vedeva diversamente: «Ma i fatti, innegabili e irrefutabili, non vi spingono forse alla conclusione che i bulgari della Macedonia e i serbi della vecchia Serbia, nella loro impresa nazionale di correggere i dati delle statistiche etnologiche che non sono interamente a loro favore, non si siano forse impegnati molto semplicemente nello sterminio sistematico della popolazione musulmana nei villaggi, nelle città e nelle regioni?».
Leo Trotzky scriveva queste parole nel gennaio 1913 in una lettera aperta al giornale (menscevico) Luch indirizzata al politico russo «liberale» Pavel Miliukov. Pertanto, vedete bene che il sostegno arrogante della Russia alla pulizia etnica nei Balcani ad opera dei cristiani ortodossi non è un fenomeno recente (sotto il governo devoto del presidente russo Vladimir Putin, però, la nostra pavida stampa preferisce non richiamare l' attenzione sul modo in cui la cricca criminale al potere in Russia gode ogni giorno di più dell' appoggio della gerarchia religiosa ortodossa).
La stessa guerra balcanica - come Trotzky aveva previsto - si allargò a inglobare nel conflitto l' intera Europa e il resto del mondo, e quando finì gli imperi ottomano e austroungarico erano implosi interamente e si dovette creare un nuovo Stato, la Jugoslavia, lungo le loro antiche frontiere.
Si potrebbe sostenere che a questo punto il Kosovo facesse parte della Serbia per «diritto» di conquista (in altre parole, de facto), ma in realtà nemmeno la Serbia aveva introdotto una nuova legislazione per annetterlo legalmente come provincia de iure. Questo era tuttavia opinabile, poiché tutti i futuri trattati e accordi furono firmati tra la Jugoslavia e un nuovo Stato che si chiamava la Repubblica turca.
Gli strumenti legali stipulati tra le due entità riconobbero la sovranità di Belgrado sul Kosovo, ma soltanto in quanto riconoscevano in Belgrado la capitale della Jugoslavia. Pertanto, se escludiamo alcune decisioni prese dai burocrati stalinisti dopo la nuova creazione della Jugoslavia nel 1945, il Kosovo non è mai stato trattato né riconosciuto come territorio serbo all' interno della Jugoslavia, e men che mai dai trattati internazionali. Persino le frettolose decisioni staliniste furono successivamente abrogate da Tito, che garantì al Kosovo una considerevole autonomia nel 1974.
E' molto importante ricordare che Milosevic aveva inaugurato la sua meschina e violenta carriera, come capo di una famiglia criminale serbomontenegrina, precisamente cancellando l' autonomia del Kosovo nel 1990, riciclandosi come demagogo nazionalista anziché comunista, e provocando il crollo della federazione jugoslava.
Avrete già letto i truci presagi espressi dai sostenitori delle posizioni russe e serbo-ortodosse, secondo i quali se è consentita questa «secessione», che cosa impedirà agli zingari, ai ceceni o agli ossezi di proclamare il loro staterello?
Sarebbe meglio chiedersi se i serbi bosniaci non avrebbero dovuto pensarci per primi e ricevere consigli più idonei dai «realisti» della cosiddetta scuola di Kissinger, che oggi piangono lacrime ipocrite. Secondo, occorre chiedersi se esista un altro caso paragonabile al Kosovo, dove una minoranza nazionale per così tanto tempo è rimasta imprigionata in uno Stato artificiale.
Certo, bisogna ammettere che si tratta di una tragedia per i serbi e una vera ingiustizia, leggi un affronto al loro orgoglio e alla loro storia. Ma questa ingiustizia se la sono cercata. Ho visto, in Kosovo, gli «insediamenti» per i serbi che il regime di Milosevic andava costruendo nel vano sforzo di rettificare gli squilibri demografici. E chi erano questi poveri «coloni»?
Gli infelici civili serbi che avevano vissuto nella Krajina in Croazia, fino a quando la guerra di conquista scatenata dal loro indomito leader non aveva provocato un immane disastro, costringendoli ad abbandonare fattorie e villaggi che occupavano da secoli.
A costoro era stata promessa una nuova terra nella regione colonizzata dall' Albania, ma da qui sono stati sradicati e scacciati ancora una volta.
Che fine avranno fatto? Forse stanno scagliando sassi contro i McDonald' s di Belgrado, e giurano ardentemente di non dimenticare mai le perdute glorie del 1389, ma forse di tanto in tanto si chiederanno dov' è che hanno fatto il primo di una lunga catena di sbagli.


Hitchens Christopher (26 febbraio 2008) Corriere della Sera

http://archiviostorico.corriere.it/2008/febbraio/26/vittimismo_dei_serbi_suoi_disastri_co_9_080226027.shtml