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Savonarola e Calvino

di Paolo Thea
Un argomento su cui mi sento in grado di dire qualcosa è sul fatto che massacri, ammazzamenti, torture, roghi di streghe e di eretici etc., non solo non sono diminuiti con la riforma protestante, ma sono talmente aumentati da costituire un qualcosa di mostruoso. Voglio paragonare due situazioni diverse tra loro, ma per certi versi molto simili e quasi consequenziali, servendomi di un lavoro che sto preparando sul “Vandalismo nell’arte”. La prima è la Firenze sotto il reggimento del predicatore Girolamo Savonarola, un caso di stato teocratico cattolico che dura relativamente pochi anni, e l’altra è la Ginevra calvinista, dove esiste una dittatura religiosa riformata molto rigida e che dura tutta la vita di Giovanni Calvino e anche nei secoli successivi. Ma che differenza c’è per il malcapitato essere torturato dai “papisti” o dai riformati? A Firenze, come si legge in un libro scritto da un membro del movimento surrealista del secondo dopoguerra, Marcel Brion, sono successe delle cose che hanno avuto una profonda eco in tutta Europa e non solo a causa del fatto che gli scritti del domenicano sono tradotti un po’ dovunque in Europa ma anche a Istambul. La seconda lunga citazione, che mi sembra eloquente e non necessita di molte spiegazioni, miracolo dei calvinisti che elencano sugli atti del Concistoro di Ginevra tutti i loro reati e i nomi e cognomi di quanti sono colpiti dalla loro “giustizia”, è tratta dal libro di Stefan Zweig Castellio contro Calvino ovvero una coscienza contro la forza, Zurigo, 1936. Da una parte Savonarola, per combattere il lusso e gli abusi, instaura un sistema di delazione servendosi dei bambini. Ai “puri” cui chiede di «purificare la città» è permessa qualsiasi cosa: ascoltare cosa si dice, controllare gli usi e costumi, ciò che si mangia e si beve, se si portano gioielli troppo appariscenti, se si posseggono libri sospetti, se si possiedono opere d’arte con nudi ecc. La domenica e i giorni festivi questi piccoli inquisitori, loro che sputeranno a Savonarola il giorno della sua andata al patibolo nel 1498, sfilano vestiti di bianco con corone e bandiere, cantando gli inni composti dal priore di San Marco, ma i giorni feriali sono irriconoscibili e temutissimi al loro semplice apparire:

    «Raggruppati in bande, per i quartieri, hanno il diritto di entrare in tutte le case, di prendere quello che loro piace, di svaligiare i passanti, di alzare i vestiti alle donne, di insultare le persone; chi tenta di difendersi o di protestare è trattato come un nemico pubblico. La guarnigione fiorentina costituita da questa polizia dei costumi, semina il terrore dappertutto … questi minuscoli inquisitori, questi investigatori in erba, questi marmocchi denunziatori, di fronte cui tutti tremano, fanno il vuoto sulle piazze e nelle strade, annusano nelle cucine l’aroma dei cibi proibiti, fanno aprire gli armadi a muro, messi sull’avviso dall’odore della dissolutezza, dal profumo dell’impudicizia»1.
Le pene previste nel caso di trasgressione delle regole sono relativamente blande se paragonate a quelle ginevrine: la prima volta è comminata una pena pecuniaria, consistente in dieci fiorini, la seconda volta si finisce in camera di tortura e si subisce il doloroso tormento di quattro strappate di corda, e solo la terza volta, per i recidivi, c’è il carcere perpetuo. Ognuno si mette a spiare i propri vicini, ad ascoltarne i discorsi, a sincerarsi della sua fedeltà coniugale, a vedere se si fa la corte a una ragazza, se assiste assiduamente alle funzioni religiose, pronto a fare denunce che fioccano copiose alle autorità. Gli oggetti sequestrati saranno pubblicamente distrutti dal fuoco purificatore dei “roghi delle vanità”. In questo clima in cui nulla è sicuro, le prediche del Savonarola agiscono come scosse, annunciate dai lugubri rintocchi della Piagnonia, la campana del convento di San Marco, da cui deriva il nome attribuito ai seguaci del priore. Egli annuncia catastrofi, peste, guerre ecc. che si possono evitare solamente con la penitenza e la preghiera. L’insistenza sulla morte capovolge la riflessione sulla bellezza, sulla giovinezza e sui piaceri della poesia e dell’arte fiorentine precedenti. Le nuove regole esigono scrupoloso rispetto e all’arte e agli artisti è riservata una particolare attenzione. Questo rapporto è di grande interesse ma penso di non soffermarmici, e mi limito a indicare che il più celebre tra loro è Sandro Botticelli. Alcuni poi, anziché ribellarsi con forza a tanto scempio, appaiono talmente sconvolti che buttano volontariamente sulle pire i loro dipinti “lascivi”, e il gesto ha il senso di un’ammissione di colpa. E da chi mai avrebbe dovuto essere purificata la Firenze di fine Quattrocento, se non da disgraziati come Savonarola? Magari dalle febbri, dalle polmoniti, dal cosiddetto mal francese, dalle infezioni, dalla peste, dai virus e batteri ecc. E questo vale per Firenze come per qualsiasi luogo del globo.

Dall’altra parte nella Ginevra di Calvino quegli stessi motivi: regole ferree, polizia spirituale, delazione, pene molto severe e sanguinose, sono ulteriormente sviluppati, ma non c’è prova che Calvino s’ispirasse a Savonarola. Adorno afferma che le cose giuste saranno nuovamente pensate in ogni epoca, ma purtroppo questo vale anche per quelle infami. E mandare in camera di tortura o sul rogo il proprio contraddittore è una cosa cui un intollerante pensa immediatamente. I “roghi delle vanità” nel mondo riformato si chiamano Bildersturm (= tempesta sulle immagini) o Bilderfrage, e con questi per volontà delle autorità religiose si eliminano quegli idoli che sono le opere d’arte a soggetto sacro. A Ginevra questo si svolge nel 1535. Ma tali distruzioni costituiscono una costante in Europa dovunque la riforma prenda il sopravvento: ne sono coinvolte intere nazioni, regioni o singole città. Dopo un controverso precedente di Wittenberg del 1522, nel 1521 e 1525 a Basilea si svolgono delle campagne iconoclastiche. La distruzione d’opere d’arte, che non vengono mai viste come tali, ma come semplici attributi di lusso appartenenti alla Chiesa romana, mentre già nei Libri Carolini elaborati nell’VIII secolo d. C. erano considerati delle cose materiali frutto dell’attività umana e pertanto non «preziose» o «particolarmente preziose» e neppure «sante» o «particolarmente sante», come aveva dichiarato il secondo concilio di Nicea nel 787 d. C, diventerà un carattere distintivo delle guerre di religione. Non è il caso di sottilizzare e giudicare severamente la distruzione di un quadro visto che si uccidono, si distruggono, si sgozzano, si bruciano, si tanagliano le persone. A Zurigo nel 1525 si procede pubblicamente alla distruzione degli idoli; le statue in legno sono bruciate e quelle in pietra murate. Nel 1529 si riprende con nuove campagne a Costanza, Berna e San Gallo. In quest’ultima località c’è una processione di quarantasei carri, caricatura del lugubre corteo di condannati al luogo dell’esecuzione. Al termine della cerimonia si brucia quanto è combustibile e sono murate le sculture in pietra. A Basilea nello stesso 1529 si arde su dodici grandi roghi, innalzati di fronte al duomo, quanto è rimasto d’arte religiosa. I volti e gli occhi della tavola centrale dell’Altare di san Pietro a Ginevra, dipinto dal pittore tedesco Konrad Witz, sono raschiati. A Ulm (Ulma), nel Götzantag (giorno degli idoli) del 21 giugno 1531, gli altari sono distrutti, i dipinti stracciati, le statue frantumate. Nel duomo - stando alle cronache - c’erano sessanta altari intagliati e colorati, alcuni dei quali opera di Hans Multscher e della sua bottega, che sono bruciati. Lo stesse cose avvengono in Germania. A Costanza è distrutto un altare ad ali dello scultore olandese Nicolaus Gerhaert von Leyden. L’Altare della Madonna di Creglingen, vicino Würzburg, opera d’intaglio in legno di Tilman Riemenschneider, si salva perché nascosto sotto tavole inchiodategli sopra, da cui è stato liberato solo nell’Ottocento. Lo scoppio delle guerre di religione nelle Fiandre o in Francia è successivo. In Francia scompaiono secoli di produzione artistica. Ma che cosa è questo a fronte delle migliaia di morti causati dal fanatismo comune alle due parti in lotta? Ciò che avviene nelle Fiandre non è da meno di quanto avviene in Francia. Ad esempio il polittico dell’Agnello mistico che si trova nella cattedrale di Gand, opera dei fratelli Hubert e Jan van Eyck, considerato un punto d’arrivo dell’arte fiamminga del Quattrocento, si salva perché nascosto all’avvicinarsi dei distruttori e così in pratica per tutte le opere giunte a noi che si trovavano in Svizzera, Francia, Germania e Fiandre.

I passi che seguono sono tratti dal secondo capitolo del libro citato di Zweig, intitolato Die Discipline. Come tale l’autore intende la rigida regola che Calvino impone a Ginevra. Da talune terminologie impiegate traspare chiaramente che un simile lavoro, e cioè l’approfondimento di una situazione di stato teocratico e di controversia tra un potente, Calvino, e un umanista disarmato, Castellio, «una mosca contro un elefante», sia causato dalla situazione degli anni Trenta del secolo XX. I riferimenti evidenti sono lo stalinismo e il nazismo e, infatti, la prima edizione del libro è stampata a Zurigo nel 1936. Zweig è sconvolto quando la sua Austria è annessa alla Germania nazista nel 1938. Allora, si mette a viaggiare senza sosta per Europa e America: Parigi, Nizza, Portogallo, Londra, New York, Buenos Aires, Uruguay, di nuovo New York e infine Petropolis in Brasile, non distante da Rio de Janeiro, dove scrive un eccezionale libro, Brasile (una terra per il futuro) e, nel 1942, si toglie la vita. Si evidenziano due frasi particolarmente indicative:

    «Il Dio di Calvino non deve essere festeggiato e amato ma solamente temuto».

un’altra, non compresa in queste pagine, parla della tortura e l’idea in proposito di Calvino lascia sbigottiti:

    «Se la tortura è implacabile è come se fosse un castigo imposto da Dio».

    «Solo nella chiarezza c’è la verità, solo nella limpida parola di Dio c’è saggezza. Via dunque tutte le forme idolatriche, immagini e statue in chiesa, via gli ornamenti colorati dei messali e quelli posti davanti ai tabernacoli della tavola del Signore. Dio non gradisce nessuna forma di ricchezza. Basta con tutti i gozzovigliamenti e stordimenti dell’anima: nessuna musica, nessun suono d’organo durante il servizio divino. Anche la campane delle chiese a Ginevra dovranno tacere. Solo con il “bronzo morto” i fedeli si ricorderanno dei loro obblighi… Con una riga Calvino cancella i giorni di festa dal calendario. Sono abolite ricorrenze già celebrate nelle catacombe come Pasqua e Natale, cancellati i giorni dedicati ai santi, proibite la celebrazione delle ricorrenze famigliari: il Dio di Calvino non deve essere festeggiato e amato ma solamente temuto… Dal ritorno di Calvino2 le case hanno porte aperte e le pareti è come se fossero di vetro. In qualsiasi momento del giorno e della notte qualcuno può energicamente bussare all’uscio di casa e un membro della polizia spirituale può comparire alla porta “per controlli”, senza che l’individuo vi si possa opporre in alcun modo. Il ricco e il povero, il grosso e il minuto, una volta al mese come minimo, devono ascoltare i discorsi di questi ficcanaso degli usi e costumi. Per ore - come si dice nell’ordinanza: “Si deve concedere il tempo utile perché si possa effettuare la ricerca con agio” - e individui coi capelli bianchi, uomini validi, persone fidate, al pari di bambini in età scolastica devono prestarsi agli esami, per verificare se sappiano recitare le preghiere o controllare se non siano mancati a una predica di Calvino. Ma dopo un simile catechismo e una simile opera di moralizzazione la visita non è da considerarsi conclusa. Questa Ceka-morale s’immischia di tutto. Vengono palpati i vestiti delle donne, per controllare che non siano né troppo lunghi né troppo corti, se non abbiano troppe gale o abbiano dei pericolosi spacchi, poi si controllano le capigliature per verificare che il taglio non sia troppo artificioso e si contano gli anelli e le scarpe depositate nell’armadio. Indi dal locale di toeletta si va verso la cucina per verificare se sotto una zuppa o un pezzo di carne non siano nascosti dolciumi e marmellata. E poi il devoto poliziotto si muove nella casa. Guarda nella libreria se c’è qualche libro che rechi un sigillo diverso da quello del Concistoro, egli fruga il fondo per vedere che non ci siano nascoste un’immagine di santi o una corona di rose. Le persone di servizio sono interrogate dopo i signori, i bambini dopo i genitori. Nello stesso tempo il poliziotto sta attento che in strada non s’intoni qualche canzone profana o con un fondo diabolico, gridata senza devozione… Questa caccia all’uomo è condotta giorno dopo giorno, e anche di domenica gli spioni non hanno sosta. Vengono nuovamente percorse tutte le vie e nuovamente viene bussato di porta in porta per controllare se qualcuno, poco diligente, sia rimasto a letto quando comincia la predica del “Signor Calvino”. In chiesa altri prestano attenzione, eventualmente per denunciare chi visiti in ritardo la casa di Dio o vi esca anzitempo. Dappertutto e instancabilmente lavorano questi guardiani degli usi e costumi; ispezionano anche le buie pergole in riva al Rodano per controllare che non ci sia qualche coppia affettuosamente abbandonata, nelle osterie rovistano nei letti e nei bagagli degli stranieri. Aprono ogni lettera che viene da Ginevra o vi è diretta e sulle mura cittadine fa buona guardia la ben organizzata sentinella del Concistoro. Sulle carrozze, sulle barche, sulle navi, sui mercati all’estero, e nelle vicine osterie, dappertutto ci sono degli spioni scelti: ogni parola di malcontento pronunciata a Lione o Parigi viene immancabilmente annotata… Però dovunque uno stato tiene i suoi abitanti in una situazione di terrore, fiorisce la ributtante pianta delle denunce… Lo “zelo della paura”3 corre verso i delatori impazienti. E dopo un anno il Concistoro potrebbe verosimilmente abolire ogni controllo perché i cittadini vi si sono ormai assuefatti. Giorno e notte scorre il torbido flusso delle denunce e da parte dell’inquisizione spirituale, la cui ruota è continuamente in movimento, vi si presta la dovuta attenzione. Ma come si sviluppa sotto un tale terrore degli usi e costumi e nessuna possibile trasgressione del messaggio divino, sostenuto da Calvino, la felicità e pienezza della vita? Il teatro è proibito, così come divertimenti, le feste popolari, il ballo e la musica in ogni sua forma: anche uno sport innocente come il pattinaggio su ghiaccio suscita in Calvino un bilioso sfavore. Proibito ogni altro aspetto se non quello quasi monacale del digiunatore, proibita anche la sartoria, senza il permesso del magistrato, infatti, non si possono mettere a punto nuovi tagli, vietato alle ragazze, prima dell’età di quindici anni, indossare vestiti di seta e, dopo, abiti di velluto, proibiti i vestiti con ricami d’oro o d’argento, [proibite] le trecce dorate come nodi e fermagli, così come preziose decorazioni e pezzi d’oreficeria. Agli uomini sono vietati i lunghi capelli cadenti4 e alle donne non è permessa alcuna pettinatura e arricciatura in testa, proibiti i pizzi in vista, guanti, gale e scarpe traforate. Proibite le lettighe e utilizzare vetture a ruote. Proibite le feste famigliari con più di venti persone. Vietato ai battesimi o alle feste di fidanzamento servire più di una certa quantità di dolciumi, così come di frutta. Proibito bere altro vino se non quello rosso della zona, proibito l’eccedere nel bere, banchettare a lungo, mangiare volatili e pasticci. Proibito in occasione dei matrimoni fare dei regali nei sei mesi successivi. Proibito ogni mezzo di trasporto fuori del comune; anche nel caso dei fidanzamenti non c’è nessun’indulgenza. Vietato agli indigeni frequentare un’osteria, proibito all’albergatore dare da mangiare un menù fuori del comune e delle bevande altrettanto strane… Proibito stampare un libro senza permesso, proibito scrivere all’estero, proibita l’arte in tutte le sue forme, proibite le immagini dei santi e le sculture, proibita la musica. Nel canto devoto dei salmi le ordinanze prescrivono “di prestare attenzione alle parole, al loro spirito e senso, piuttosto che alla melodia, perché Dio si può lodare solo nella parola vivente”. Più di una volta la libera scelta dei nomi di battesimo dei figli è impedita. Diventano proibiti nomi utilizzati da secoli come Claude o Amadé, perché non sono biblici e altri, come Isacco o Adamo, frequentemente sono imposti. È proibito recitare il Padrenostro in latino, vietato festeggiare ricorrenze come Pasqua e Natale, proibito tutto ciò che turba il fosco clima da digiuno, proibita ogni ombra e scintillio che denoti una qualche libertà spirituale nella parola pronunciata o stampata. E proibito, ed è il divieto dei divieti, ogni critica alla dittatura di Calvino: viene fatto notare con lo squillo di una tromba che “eventuali cambiamenti da parte del Consiglio verranno resi noti”.

    Proibito, proibito, proibito, un orrendo ritmo. E costernati ci si chiede: cosa è permesso ai cittadini di Ginevra. Non molto. È possibile vivere e morire, lavorare5, ascoltare e andare in chiesa. Ma c’è molto di più, quest’ultima cosa non solo è permessa, ma imposta a pena di pesanti sanzioni… La paura è il prezzo che deve pagare la città per il mantenimento dell’“ordine” e della “disciplina” dato che a Ginevra non ci sono mai stati tali e tanti fatti di sangue, pene, torture ed esili in seguito ai giudizi, come da quando Calvino spadroneggia nel nome di Dio. Giustamente Balzac osserva a proposito del terrore di Calvino che tanto orrende sono le sue orge di sangue quanto quelle della rivoluzione francese: “La rabbiosa intolleranza di Calvino era tanto moralmente spietata e rigida quanto l’intolleranza politica di Robespierre, e in un luogo come Ginevra, Calvino avrebbe versato tanto più sangue che il terribile apostolo dell’uguaglianza politica”.

    Però non erano tanti i barbari giudizi sanguinosi, con cui l’idea di libertà dei ginevrini è stata spezzata… Si può sfogliare nella lista dei verbali del Consiglio, al fine di cogliere la raffinatezza dell’intimidazione. Un cittadino ha riso a un battesimo: tre giorni di galera, un altro, stanco per il caldo estivo, si addormenta alla predica: galera. Un lavoratore ha mangiato un pasticcio a colazione: tre giorni a pane e acqua. Due cittadini hanno giocato ai birilli: galera. Due altri hanno giocato ai dadi un quarto di vino: galera. Uno si è rifiutato di battezzare suo figlio col nome Abramo: galera. Un violinista cieco ha suonato invitando al ballo: cacciato dalla città. Un altro individuo ha elogiato la traduzione della Bibbia di Castellio6: cacciato dalla città. Una ragazza è sorpresa a pattinare sul ghiaccio. Una donna si è gettata sulla tomba del marito. Un uomo durante il servizio divino ha offerto ai suoi vicini una presa di tabacco: citati davanti al Concistoro, ammoniti e poi multati. E ancora altri casi senza fine e senza sosta… Gente allegra il giorno dei Re Magi [6 gennaio] si è cucinata dei fagioli: condannati a ventiquattr’ore a pane e acqua. Un cittadino ha detto “Signor Calvino” anziché “Calvino”, un paio di contadini per antica abitudine ha parlato d’affari dopo l’andata in chiesa: galera, galera, galera. Uno ha giocato a carte: è messo alla gogna con le carte al collo. Un altro ha cantato insistentemente in strada: cacciato e mandato “a cantare altrove”, il che significa che è bandito dalla città. Due marinai si sono azzuffati, senza uccidere nessuno: condannati e giustiziati. Due bambini non ancora maggiorenni, che si sono rivolti indecentemente tra loro, dapprima sono condannati al rogo, successivamente graziati, ma costretti a stare di fronte alla catasta che brucia. La più rabbiosa punizione naturalmente è contro ogni atto ostile allo stato e contro l’infallibilità spirituale di Calvino. Un uomo, che ha criticato pubblicamente i discorsi sulla predestinazione di Calvino, è frustato a sangue a tutti gli incroci stradali e poi bandito dalla città. Ad uno stampatore che, ubriaco, ha insultato Calvino, è bucata la lingua con un ferro rovente, e poi è cacciato dalla città. Jacques Gruet, solo perché ha definito Calvino un ipocrita, è torturato e indi giustiziato7. Ogni avvenimento, anche il più insignificante, è accuratamente annotato sugli atti del Concistoro, in modo tale che la vita privata di ogni singolo cittadino è evidenziata: la polizia degli usi e costumi di Calvino ignora il perdono o la dimenticanza.

    Inevitabilmente, un simile perdurante e duraturo terrore alla fin fine spezza la dignità interiore e l’energia delle persone. Se in uno stato ogni cittadino può essere interrogato, inquisito, condannato, è continuamente insicuro, è spiato in ogni suo atto e in ogni parola, se incessantemente giorno e notte deve aprire la porta per “visite”, allora i nervi si allentano, a poco a poco, subentra una paura diffusa e anche i più coraggiosi via via soccombono…».

(I passi citati si trovano nell’edizione Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1987, tra le pgg. 54 e 65).

Note

  1. Marcel Brion. Savonarole. L’héraut de Dieu. La colombe, Paris 1948, p. 142-143.

  2. Nel febbraio 1538, il predicatore è allontanato da Ginevra ma poi, nel settembre 1538, vi è richiamato.

  3. In italiano nel testo.

  4. Ad esempio uno come Albrecht Dürer a Ginevra non avrebbe potuto portare in giro la sua lunga capigliatura, e buon per lui che Lutero, contrariamente a Calvino, si disinteressi dell’argomento.

  5. Questo dei ritmi di lavoro imposti con la riforma è un problema poco indagato ma d’estremo interesse. Alberto Savinio, pensando soprattutto al cattolicesimo, sostiene che il cristianesimo è un modo per fare digerire la gerarchia terrena: «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Che questo fenomeno s’intensifichi ancora con la riforma protestante è inquietante. D’altra parte le autorità riformate hanno il timore di spaventare i signori, che costoro credano che la religione voglia alimentare la sovversione sociale.

  6. Versione vietata da Calvino.

  7. In un altro punto del suo lavoro Zweig elenca il numero di più di novanta giustiziati a Ginevra durante la vita di Calvino. E novanta vuol dire qualcuno di più dell’eretico Michele Serveto bruciato nel 1553, la cui vicenza è scandalosa. In ogni caso qui si elencano tre casi di giustiziati, e di uno si fa pure nome e cognome, ma tutti i nomi sono registrati scrupolosamente negli atti del Concistoro.