[ Politiquement... ]
L' ultima battaglia di Obama
Repubblica — 25 giugno 2010
La rimozione di McCrystal segna
una svolta definitiva nelle idee di
guerra del presidente, passato dall'anti-militarismo
ai tempe dell'università al sostegno alla dottrina
della contro-insurrezione firmata
Petraeus.
Subito i primi cambiamenti: il 2011 non 1e più considerato
la data definitiva del ritiro.
$$$$$$
NEW YORK La
mattina del 10 marzo 1983 un giovane studente di legge scese
di corsa le tre rampe di scale dell' appartamento da 360
dollari al mese al 142 West della 109esima strada, angolo
Amsterdam Avenue, e si catapultò all' appuntamento con la
storia. Varcata la soglia del campus puntò sulla libreria,
si procurò una copia di Sundial, uno dei giornaletti della
Columbia, e declamò a mente il titolo del pezzo che aveva
scritto e gli avevano pubblicato: "Spezzare la mentalità di
guerra". Quello studente era Barack Obama. Il piccolo saggio
di antimilitarismo dottoreggiava sulla vicenda dei missili
Pershing e Cruise. (segue dalla copertina) Ma si distingueva
soprattutto per una citazione, «Tutti chiedono pace ma
nessuno chiede giustizia», verso tratto da una canzone di
Peter Tosh, idolo reggae più noto per le canne che per gli
studi strategici. La sera di martedì 22 giugno 2010, il
portavoce Robert Gibbs salì di corsa le scale che portano al
secondo piano della Casa Bianca, bussò discretamente alla
Residenza presidenziale e allungò al presidente una copia di
Rolling Stone. L' occhio forse si sarebbe voluto posare più
volentieri su Lady GaGa seminuda in copertina: invece
dovette passare subito alle parole dure che gli rivolgeva il
generale Stanley McChrystal, l' uomo che aveva scelto appena
un anno prima per vincere la "sua" guerra in Afghanistan. A
Barack Obama è bastata la lettura di poche righe per
decidere la sorte del generale ribelle. E la motivazione che
il giorno dopo ha fornito davanti al mondo è lontana anni
luce dalle spensierate riflessioni giovanili. Una guerra è
più grande di qualsiasi uomo: la nostra democrazia posa su
istituzioni più forti dei singoli individui e il rispetto
della catena di comando include «il controllo dei civili»
sul potere militare. La dichiarazione di guerra allo
strapotere delle stellette è solo l' ultimo atto del lungo
cammino di Barack Obama. Ricordate quando in campagna
elettorale il suo rivale, il veterano del Vietnam John
McCain, ironizzava sulla sua mancanza di training militare?
Beh, quel «ragazzo inesperto», come lo aveva definito Dick
Cheney, nel giro di un anno e mezzo ha fatto fuori già
quattro soldatini. Il consigliere militare della Casa
Bianca, generale Gregory Craig. Il direttore della National
Intelligence, ammiraglio Dennis C. Blair. Il predecessore di
McChrystal, generale David D. McKiernan. E ora, appunto, il
fedifrago Stanley. Un bel poker per un presidente che gli
avversari accusano di poco decisionismo. Il problema che la
cacciata di MChrystal ha messo a fuoco è però un altro: non
basta allontanare, bisogna anche saper pescare le persone
giuste. E qui apriti cielo. Prendete l' ultima pesca: quel
David Petraeus che viene considerato il miglior soldato
dell' impero. La mossaè stata applaudita persino da un
critico severo come Mark Helperin, il reporter che in "Game
Change" ha svelato i retroscena più imbarazzanti della
campagna presidenziale. Petraeus, certo, è l' uomo che ha
disegnato quella «contro-insurrezione» che ha funzionato in
Iraq e che McChrystal stava attuando in Afghanistan: quindi
la scelta strategicamente più logica. Peccato che Petraeus
sia anche il soldato che aveva giurato fedeltà a George W.
Bush e che in tanti continuano a sospettare di velleità
presidenziali. Ieri, poi, Obamaè sembrato quasi sposare la
tesi del suo nuovo comandante, invece di guidarlo, quando ha
detto che la data per l' inizio del ritiro, luglio 2011, è
solo «l' inizio di una fase di transizione»: non è che gli
americani «spengono la lucee si chiudono la porta dietro». O
prendete l' uomo da cui tutti i generali dipendono: il capo
del Pentagono Robert Gates. E' stato l' unico in queste ore
a battersi perché McChrystal - che lui stesso aveva
suggerito al presidente - restasse al suo posto in nome
della «continuità» che va assicurata alla guerra. Ma proprio
in nome di quella continuità lo stesso Gates, che al
Pentagono fu scelto sempre da Bush, si trova nel posto dove
gli elettori di Obama avrebbero preferito magari un signore
che non avesse condiviso da capo della Cia e da ministro
della Difesa le torture in nome della guerra al terrorismo.
Ma chi consiglia il Comandante in Capo? Time sollevò mille
perplessità quando Obama annunciò la nomina di James Jones a
Consigliere per la Sicurezza. Jones era stato il capo dei
marine lanciati a quella conquista dell' Iraq contro cui
Barack si era scagliato. E soprattutto Jones - come la
maggior parte delle stellette della nazione - era per Barack
un perfetto sconosciuto, incontrato solo un paio di volte
grazie all' intercessione di Mark Lippert, un ufficiale che
è stato tra i più ascoltati suggeritori prima di fare i
bagagli e tornarsene in Marina. A Washington sussurrano che
la prima preoccupazione di Obama arrivato alla Casa Bianca è
stata quella di scrollarsi di dosso l' immagine
antimilitarista che spuntava dai giornaletti universitari.
Già durante la campagna elettorale aveva cercato di
ricostruirsi una verginità. Per esempio confessando all' Abc
che finita la scuola aveva persino pensato di entrare nell'
esercito: «Pensavo che quella militare potesse essere una
scelta dignitosa. Però era già il 1979, la guerra del
Vietnam era finita da un pezzo» e insieme alla guerra la
leva obbligatoria. Così passò oltre. La mancanza di un
curriculum militare l' ha portato a compiere anche un paio
di gaffe. «Mio nonno aveva marciato nell' esercito del
Generale Patton ma io non posso sapere, come molti di voi,
che cosa significa stare in battaglia». Il piccolo
particolare è che non poteva saperlo neppure suo nonno che
mai era stato dispiegato in guerra. Un' altra volta gli è
andata peggio. «Un mio prozio - disse - fu tra i primi
soldati ad arrivare ad Auschwitz». Non si capisce come
poteva farlo, gli rispose un deputato repubblicano, a meno
che non marciasse con l' esercito russo. Dovette intervenire
il suo ufficio stampa: voleva dire Buchenwald. La scommessa
sul nuovo comandante in Afghanistan rilancia adesso la
partita a distanza. Ma c' è chi giura che il prossimo
scontro è soltanto rinviato. Da Peter Tosh a David Petraeus,
Obama è passato dall' antimilitarismo alla condivisione di
quella contro-insurrezione che tra gli stessi democratici ha
tanti nemici, a cominciare dal suo vicepresidente, Joe
Biden. Il succo è noto: non basta fare la guerra, bisogna
costruire la fiducia della popolazione, servono strade e
ponti e governi efficienti che possano insidiare il consenso
che hanno gli i radicali dall' Iraq all' Afghanistan. I
critici più severi dicono che la "Dottrina Petraeus" in
realtà è servita a fornire al Pentagono un alibi per fare
salire le spese di guerra e ricostruzione. Ma c' è chi
dubita anche della sua efficacia. Un tifoso del presidente
come Seymour Hersh, mitico reporter, dice che purtroppo «i
militari controllano Obama sulle questioni più importanti:
Iran, Iraq, Afghanistan e Pakistan» e che lui sta seguendo
appunto «la politica di Bush e Cheney». L' Iraq
rappacificato da Petraeus? Ora è sull' orlo della guerra
civile. L' Afghanistan? L' unica soluzione sarebbe un
accordo con i Taliban e l' unica persona che potrebbe farlo
è il mullah Omar, che per gli americani è però diventato un
altro Hitler. Che l' Afghanistan sia un pasticcio l' ha
riconosciuto anche una generale.E che generale. «Non
crediate che l' Afghanistan possa mai diventare la nuova
Svizzera». Sapete chi parlò così? David McKiernan, il
comandante che l' anno scorso Obama cacciò per mettere al
suo posto McChrystal. E sapete a chi fece questa
rivelazione? A Michael Hastings: un reporter che allora
scriveva per Esquire e oggi per Rolling Stone ha raccontato
i dolori del vecchio Stanley. La storia si ripete: vuoi
vedere che al presidente toccherà tornare a Peter Tosh?
-
DAL NOSTRO INVIATO ANGELO AQUARO
Il Presidente e il suo generale/1
Repubblica — 25 giugno 2010
NEW YORK La mattina del 10 marzo 1983 un giovane studente di
legge scese di corsa le tre rampe di scale dell'appartamento
da 360 dollari al mese al 142 West della 109esima strada,
angolo Amsterdam Avenue, e si catapultò all'appuntamento con
la storia. Varcata la soglia del campus puntò sulla
libreria, si procurò una copia di Sundial, uno dei
giornaletti della Columbia, e declamò a mente il titolo del
pezzo che aveva scritto e gli avevano pubblicato: "Spezzare
la mentalità di guerra". Quello studente era Barack Obama.
Il piccolo saggio di antimilitarismo dottoreggiava sulla
vicenda dei missili Pershing e Cruise. (segue dalla
copertina) Ma si distingueva soprattutto per una citazione,
«Tutti chiedono pace ma nessuno chiede giustizia», verso
tratto da una canzone di Peter Tosh, idolo reggae più noto
per le canne che per gli studi strategici. La sera di
martedì 22 giugno 2010, il portavoce Robert Gibbs salì di
corsa le scale che portano al secondo piano della Casa
Bianca, bussò discretamente alla Residenza presidenziale e
allungò al presidente una copia di Rolling Stone. L'occhio
forse si sarebbe voluto posare più volentieri su Lady GaGa
seminuda in copertina: invece dovette passare subito alle
parole dure che gli rivolgeva il generale Stanley
McChrystal, l'uomo che aveva scelto appena un anno prima per
vincere la "sua" guerra in Afghanistan. A Barack Obama è
bastata la lettura di poche righe per decidere la sorte del
generale ribelle. E la motivazione che il giorno dopo ha
fornito davanti al mondo è lontana anni luce dalle
spensierate riflessioni giovanili. Una guerra è più grande
di qualsiasi uomo: la nostra democrazia posa su istituzioni
più forti dei singoli individui e il rispetto della catena
di comando include «il controllo dei civili» sul potere
militare. La dichiarazione di guerra allo strapotere delle
stellette è solo l'ultimo atto del lungo cammino di Barack
Obama. Ricordate quando in campagna elettorale il suo
rivale, il veterano del Vietnam John McCain, ironizzava
sulla sua mancanza di training militare? Beh, quel «ragazzo
inesperto», come lo aveva definito Dick Cheney, nel giro di
un anno e mezzo ha fatto fuori già quattro soldatini. Il
consigliere militare della Casa Bianca, generale Gregory
Craig. Il direttore della National Intelligence, ammiraglio
Dennis C. Blair. Il predecessore di McChrystal, generale
David D. McKiernan. E ora, appunto, il fedifrago Stanley. Un
bel poker per un presidente che gli avversari accusano di
poco decisionismo. Il problema che la cacciata di MChrystal
ha messo a fuoco è però un altro: non basta allontanare,
bisogna anche saper pescare le persone giuste. E qui apriti
cielo. Prendete l'ultima pesca: quel David Petraeus che
viene considerato il miglior soldato dell'impero. La mossaè
stata applaudita persino da un critico severo come Mark
Helperin, il reporter che in "Game Change" ha svelato i
retroscena più imbarazzanti della campagna presidenziale.
Petraeus, certo, è l'uomo che ha disegnato quella
«contro-insurrezione» che ha funzionato in Iraq e che
McChrystal stava attuando in Afghanistan: quindi la scelta
strategicamente più logica. Peccato che Petraeus sia anche
il soldato che aveva giurato fedeltà a George W. Bush e che
in tanti continuano a sospettare di velleità presidenziali.
Ieri, poi, Obamaè sembrato quasi sposare la tesi del suo
nuovo comandante, invece di guidarlo, quando ha detto che la
data per l'inizio del ritiro, luglio 2011, è solo «l'inizio
di una fase di transizione»: non è che gli americani
«spengono la lucee si chiudono la porta dietro». O prendete
l'uomo da cui tutti i generali dipendono: il capo del
Pentagono Robert Gates. E' stato l'unico in queste ore a
battersi perché McChrystal - che lui stesso aveva suggerito
al presidente - restasse al suo posto in nome della
«continuità» che va assicurata alla guerra. Ma proprio in
nome di quella continuità lo stesso Gates, che al Pentagono
fu scelto sempre da Bush, si trova nel posto dove gli
elettori di Obama avrebbero preferito magari un signore che
non avesse condiviso da capo della Cia e da ministro della
Difesa le torture in nome della guerra al terrorismo. Ma chi
consiglia il Comandante in Capo? Time sollevò mille
perplessità quando Obama annunciò la nomina di James Jones a
Consigliere per la Sicurezza. Jones era stato il capo dei
marine lanciati a quella conquista dell'Iraq contro cui
Barack si era scagliato. E soprattutto Jones - come la
maggior parte delle stellette della nazione - era per Barack
un perfetto sconosciuto, incontrato solo un paio di volte
grazie all'intercessione di Mark Lippert, un ufficiale che è
stato tra i più ascoltati suggeritori prima di fare i
bagagli e tornarsene in Marina. A Washington sussurrano che
la prima preoccupazione di Obama arrivato alla Casa Bianca è
stata quella di scrollarsi di dosso l'immagine
antimilitarista che spuntava dai giornaletti universitari.
Già durante la campagna elettorale aveva cercato di
ricostruirsi una verginità. Per esempio confessando all' Abc
che finita la scuola aveva persino pensato di entrare
nell'esercito: «Pensavo che quella militare potesse essere
una scelta dignitosa. Però era già il 1979, la guerra del
Vietnam era finita da un pezzo» e insieme alla guerra la
leva obbligatoria. Così passò oltre. La mancanza di un
curriculum militare l'ha portato a compiere anche un paio di
gaffe. «Mio nonno aveva marciato nell'esercito del Generale
Patton ma io non posso sapere, come molti di voi, che cosa
significa stare in battaglia». Il piccolo particolare è che
non poteva saperlo neppure suo nonno che mai era stato
dispiegato in guerra. Un'altra volta gli è andata peggio.
«Un mio prozio - disse - fu tra i primi soldati ad arrivare
ad Auschwitz». Non si capisce come poteva farlo, gli rispose
un deputato repubblicano, a meno che non marciasse con
l'esercito russo. Dovette intervenire il suo ufficio stampa:
voleva dire Buchenwald. La scommessa sul nuovo comandante in
Afghanistan rilancia adesso la partita a distanza. Ma c'è
chi giura che il prossimo scontro è soltanto rinviato. Da
Peter Tosh a David Petraeus, Obama è passato
dall'antimilitarismo alla condivisione di quella
contro-insurrezione che tra gli stessi democratici ha tanti
nemici, a cominciare dal suo vicepresidente, Joe Biden. Il
succo è noto: non basta fare la guerra, bisogna costruire la
fiducia della popolazione, servono strade e ponti e governi
efficienti che possano insidiare il consenso che hanno gli i
radicali dall'Iraq all'Afghanistan. I critici più severi
dicono che la "Dottrina Petraeus" in realtà è servita a
fornire al Pentagono un alibi per fare salire le spese di
guerra e ricostruzione. Ma c'è chi dubita anche della sua
efficacia. Un tifoso del presidente come Seymour Hersh,
mitico reporter, dice che purtroppo «i militari controllano
Obama sulle questioni più importanti: Iran, Iraq,
Afghanistan e Pakistan» e che lui sta seguendo appunto «la
politica di Bush e Cheney». L'Iraq rappacificato da
Petraeus? Ora è sull'orlo della guerra civile.
L'Afghanistan? L'unica soluzione sarebbe un accordo con i
Taliban e l'unica persona che potrebbe farlo è il mullah
Omar, che per gli americani è però diventato un altro
Hitler. Che l'Afghanistan sia un pasticcio l'ha riconosciuto
anche una generale.E che generale. «Non crediate che
l'Afghanistan possa mai diventare la nuova Svizzera». Sapete
chi parlò così? David McKiernan, il comandante che l'anno
scorso Obama cacciò per mettere al suo posto McChrystal. E
sapete a chi fece questa rivelazione? A Michael Hastings: un
reporter che allora scriveva per Esquire e oggi per Rolling
Stone ha raccontato i dolori del vecchio Stanley. La storia
si ripete: vuoi vedere che al presidente toccherà tornare a
Peter Tosh?
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DAL NOSTRO INVIATO ANGELO AQUARO
Il Presidente e il suo generale/2
Repubblica — 25 giugno 2010
Il conflitto tra civili e militari ai
massimi livelli del governo - finito sotto gli occhi di
tutti in questi giorni con il comportamento poco rispettoso
del generale Stanley McChrystal nei confronti della Casa
Bianca e la decisione del Presidente Obama di sollevarlo dal
suo incarico - è un vecchio problema nella storia americana.
Sul tema la costituzione americana non potrebbe essere più
chiara: mette un civile- il presidente- come comandante in
capo delle forze armate proprio per evitare possibili
equivoci sulla catena di comando. Eppure allo stesso tempoi
militari godono da sempre nella vita pubblica di uno status
speciale, un ascendente particolare, un rispetto quasi
mistico, che nei fatti si è tradotto in potere politico.
(segue dalla copertina) Non è un caso che il primo
presidente degli Stati Uniti, George Washington, sia stato
anche il generale che aveva guidato le truppe durante la
rivoluzione contro la Gran Bretagna. Nel primo secolo della
nostra storia ben 11 presidenti sono stati generali. Questo
è vero soprattutto per l'epoca pre-televisiva e in
particolare per l'800, con l'ascesa della democrazia
popolare: l'eroismo militare era un sostituto per il carisma
telegenico.I primi presidenti americani erano degli
"aristocratici" scelti dall'élite del paese prima della
formazione di partiti politici moderni: Andrew Jackson, un
ex-generale eletto nel 1829, fu il primo presidente arrivato
al potere dal basso, grazie al sostegno popolare. Fra il
1829 e il 1889, ben 10 presidenti su 16 furono ex-generali.
Eppure nella più grande prova militare e politica nella
storia americana, fu un civile, Abraham Lincoln, a guidare
il governo: gestire la Guerra Civile comportò per lui un
mare di guai. I migliori militari erano con la
Confederazione degli Stati del Sud (grazie alla tradizione
militare molto diffusa negli stati meridionali) e nel Nord
Lincoln era a corto di buoni generali. Per tre anni fu
costretto a sopportare il generale George McClellan, un buon
organizzatore di truppe ma un militare molto cauto che
esitava ad attaccare le truppe del Sud nonostante una
superiorità numerica del Nord. McClellan non esitava a
ridicolizzare Lincoln, chiamandolo di fronte ai suoi amici
"gorilla" e "babbuino": commenti molto simili, se non
peggiori, rispetto a quelli fatti da McChrystal nei
confronti di Obama e la sua Amministrazione. Una volta,
McClellan fece aspettare Lincoln per un'ora in albergo e poi
gli mandò a dire che era andato a letto. Quando i
consiglieri del presidente lo incoraggiavano a liquidare
McClellan, Lincoln rispondeva: «Per sostituirlo con chi?».
Dopo il siluramento, McClellan si presentò alle
presidenziali come candidato democratico, sfidando Lincoln e
promettendo di far uscire il Nord dalla guerra. La campagna
fallì, ma il generale rappresentò una seria minaccia per
Lincoln. Il presidente trovò finalmente il suo generale in
Ulysses S. Grant, il quale riprese l'offensiva contro il
Sud. Quando alcune persone della cerchia di Lincoln
protestavano perchè Grant beveva troppo, il presidente
rispondeva: «Fatemi sapere che marca di whisky beve e ne
manderò una cassa a tutti i miei generali!». Forse la più
grande sfida dei generali ai civili dopo l'epoca di Lincoln
fu quella del generale Douglas MacArthur durante la guerra
di Corea. Andando contro gli ordini del presidente Harry
Truman, MacArthur condusse un'offensiva in Corea sopra il
38esimo parallelo, scatenando la risposta dei comunisti
cinesi, allargando la guerra e complicando la situazione
militare-politica. Truman licenziò MacArthur immediatamente.
Prima di essere cacciato, MacArthur sembrava corteggiare
l'opinione pubblica: atterrava con il suo aereo proveniente
dal Pacifico in Californiae da lì viaggiava lentamente in
treno verso Washington, fermandosi davanti a folle enormi ad
ogni tappa. Ma alla fine Truman vinse e stabilì chiaramente
il principio per cui il presidente civile ha l'ultima parola
sui suoi generali. L'ultimo presidente-generale fu Dwight
Eisenhower, coordinatore delle Forze alleate durante la
Seconda Guerra Mondiale, il quale però diede l'addio alla
politica denunciando l'esistenza di «un complesso
militare-industriale», un intreccio di interessi tra il
Pentagono e la grande industria militare, che minacciava di
prendere controllo della politica estera. Poi vennero la
Guerra Freddae il Vietnam e si innescò una dinamica
pericolosa: i repubblicani furono identificati come il
partito dei falchi e dei militari,i democratici come quello
della pacee degli anti-militari. Un elemento quest'ultimo
che rende ancora più delicata la posizione di presidenti
democratici come Bill Clinton e Barack Obama, che non hanno
fatto il servizio militare. Il dilemma di fronte a cui si è
trovato Obama è stato un mix fra i problemi che dovette
fronteggiare Lincoln e quelli di Truman. Il comportamento di
McChrystal non si può chiamare aperta insubordinazione come
nel caso di MacArhtur: piuttostoè simile al comportamento
dispettoso di McClellan. Ma la condotta del generale
minacciava di compromettere la politica della Casa Bianca in
Afghanistan, già in crisi. Obama non ha come Lincoln il
problema di non avere altri generali. Ma Lincoln aveva un
vantaggio sull'attuale presidente: un obiettivo
politico-militare chiaro e realizzabile, la sconfitta
militare del Sud e la restaurazione di un potere centrale
nel paese. Il problema più grande di Obama nonè legato alle
persone:è piuttosto l'assenza di una politica chiara.
Sconfiggere i Taliban? Distruggere Al Qaeda? Creare una
democrazia stabile? Ritirarsi in ogni caso l'anno prossimo?
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ALEXANDER STILLE
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