[ NDR - purtroppo ho perso il riferimento
alle origini di
questo articolo, e me ne scuso con l'autore. - Penso si tratti
dalla tesi di laurea di Ferdinando Petti, menzionata nelle
pagine del Gruppo di Disegno di Macchine
della Facoltà d'Ingegneria dell'Università
degli Studi di Roma "Tor Vergata".]
************
La figura di Giovanni Dondi, detto Dall’Orologio, risulta essere
una delle più poliedriche del 1300. Matematico, filosofo,
astronomo e medico concepì e costruì, nel 1364, un planetario
che dovrebbe essere ricordato tra le meraviglie del mondo per le
soluzioni tecniche adottate nel campo della meccanica.
L’astrario di Giovanni Dondi è andato distrutto ma il suo lavoro
è illustrato nel manoscritto intitolato "Tractatus Astrarii
Johannis De Dondis Paduani Civis Cui Tres Sunt Partes"
conservato presso la Biblioteca Capitolare di Padova e
pubblicato nel 1960 dalla Biblioteca Apostolica Vaticana.
Questo manoscritto non è l’unico esistente perché il desiderio
di avvicinarsi sempre più alla perfezione spinse il Dondi a
rivedere il suo lavoro e a riscriverlo più volte apportando
tutte le modifiche che di caso in caso gli sono parse
necessarie. Confrontando le varie versioni sembra molto
probabile che il manoscritto della Biblioteca Capitolare di
Padova sia il capostipite.
Prima di procedere con la ricostruzione (la ricostruzione è
stata fatta traducendo il manoscritto latino e seguendo le
minuziose descrizioni dell’autore ), cerchiamo di inquadrare le
figure di Jacopo e Giovanni Dondi per comprendere meglio la
genesi dell’astrario.
La famiglia Dondi
Le notizie sull’origine della famiglia Dondi risultano molto
incerte (Cfr. V. Bellemo, Jacopo e Giovanni de Dondi
Dall'Orologio. Note critiche con le rime edite ed inedite di
Giovanni Dondi ed altre aggiunte, Chioggia 1894 e A. Gloria, I
due orologi meravigliosi inventati da Jacopo e Giovanni Dondi in
Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s.7,
VIII (1896-1897), pp. 675-735), sembra comunque che Jacopo
Dondi, medico di Chioggia, si trasferì a Padova intorno all’anno
1343 e qui morì nel 1359. I suoi interessi non si limitarono
alla medicina ma abbracciarono anche l’astronomia, la
letteratura e le scienze naturali. Dall’unione con Zaccarota di
Daniele Centrago ebbe otto figli fra cui Giovanni, persona
dotata di ingegno acuto, più dei fratelli e forse anche più
dello stesso padre.
Giovanni nacque a Chioggia intorno al 1330 per poi seguire la
famiglia a Padova; qui nel 1355 entrò a far parte del Collegio
Dei Dottori nelle Arti e nella Medicina e nel 1359 venne
nominato Dottore in filosofia e astrologia ottenendo il
magistero della logica che gli permise di farsi conoscere dalle
scuole delle altre città.
Nel 1368 fu invitato a Firenze quale ordinario di medicina e
ottenne dal rettore dell’Università di Bologna la licenza di
parlare e discutere.
Nell’ambiente padovano ebbe modo di allacciare cordiali
relazioni con gli uomini di autorità e di scienza più in vista
come Francesco Da Carrara, signore di Padova, che lo ammise tra
i suoi famigliari.
A causa di alcune incomprensioni con Francesco Da Carrara,
Giovanni preferì trasferirsi a Pavia come si deduce da una
lettera a lui indirizzata dal Petrarca e qui fu chiamato ad
insegnare all’Università da Galeazzo II.
Giovanni morì nell'ottobre 1388 durante una visita ad Antonio Adorno Doge
di Genova.
Il soprannome "ab Horologio"
Per quanto riguarda l’origine del soprannome dato alla famiglia
Dondi le opinioni non sono concordi; il Gloria sostiene che il
soprannome non sia dovuto all’astrario di Giovanni ma ad un
presunto orologio realizzato da Jacopo le cui testimonianze sono
deducibili da un epitaffio presente sulla sua tomba e da altri
documenti dell’epoca.
L’orologio di Jacopo, (andato distrutto in un incendio nel 1939 e
ricostruito nel 1420 circa su disegna dell'originale), segnava le
ore e contemporaneamente computava giorni, mesi e lunazioni
secondo il corso annuale del sole attraverso i segni delle
zodiaco; questo orologio potrebbe essere stato il punto di
partenza per la realizzazione dell’astrario, descritto nel
seguito di questo capitolo.
Il Bellemo sostiene invece la tesi secondo la quale il
soprannome derivi dall’astrario di Giovanni e sia stato poi
adottato per indicare l’intera famiglia.
Nonostante le discrepanze credo che se anche fosse esistito un
orologio realizzato da Jacopo, ciò non toglierebbe nulla a quel
gioiello di meccanica rappresentato dall’astrario di Giovanni.
Le caratteristiche dell'astrario
Nel primo capitolo l’autore descrive il casamento dell’astrario
fornendo i particolari per realizzarlo partendo da sette aste
quadrate di ottone, grosse un dito e lunghe un piede, riunite a
formare un ettagono in modo da ottenere un quadrante per ogni
pianeta.
Nella parte inferiore le aste andavano piegate in modo da
servire da solido sostegno e finivano in forma di zampe di cane.
Per quanto riguarda i metalli usati il Dondi nomina solo leghe
di rame ma sembra molto improbabile che gli assi delle ruote non
siano stati in acciaio come normalmente si usava in quel
periodo. Il Dondi forse sorvola su questo particolare, come su
molti altri, perché ritenuto noto alla gente del mestiere.
Nella descrizione dell’astrario l’autore, dovendo indicare
dimensioni particolarmente ridotte rispetto alle unità di misura
del piede e del dito che erano in uso, utilizzò gli oggetti che
aveva sott’occhio per creare ex novo delle unità di misura,
forse primitive e rudimentali, ma adeguate alle sue esigenze.
Le unità utilizzate sono: piede, pollice, dito medio, anulare,
unghia, penna d’oca o di gallina o di una grossa gru, il dorso
di un coltello, di un coltello di media grossezza, di un
coltello un po’ meno grosso , di un coltello sottile, di un
coltellino, di un coltello da pane.
La cosa fondamentale da tenere sempre presente è l’uso del buon
senso nell’interpretazione delle misure.
I pezzi costituenti l’astrario risultano tutti contrassegnati,
secondo una consuetudine degli orologiai, in modo da agevolare
le operazioni di smontaggio e di assemblaggio.
Una particolarità di tutta la costruzione è costituita
dall’assenza di viti che, sebbene note all’epoca della
realizzazione, furono sostituite da caviglie introdotte per
agevolare eventuali operazioni di smontaggio.
Altra particolarità è costituita dalla prospettiva utilizzata
per la visualizzazione dei due casamenti, (vedi manoscritto
Foglio 1, Foglio 2 e Foglio 3) che sebbene diversa dalla
prospettiva scientifica dell’Alberti risulta comunque molto
efficace.
Gli strumenti di lavoro usati sono un tornio per la pulitura,
nominato nel capitolo terzo, che molto probabilmente viene
utilizzato anche per la lavorazione degli assi, delle lime
utilizzate per ricavare i denti delle ruote che venivano limati
a mano, una sega e, anche se non vengono nominati, un’incudine,
un trapano a volano, le tenaglie, le pinzette, alcuni punzoni ed
i morsetti posseduti da qualsiasi piccola bottega del tempo.
Una ulteriore particolarità, nonché primizia meccanica, è
costituita dalla catena articolata (descritta nel manoscritto di
Venezia) la cui descrizione non compare nel manoscritto di
Padova essendo stata inserita dopo la prima costruzione.
La realizzazione del calendario rotante, che descriveremo in
seguito e che visualizza i giorni, i mesi e le feste fisse, non
poteva soddisfare le ambizione del Dondi che, dopo aver
costruito l’astrario, volle inserire qualcosa che gli
permettesse di segnare anche le feste mobili; per far questo
ideò due catene articolate costituite rispettivamente da
lastrine agganciate una all’altra ed in numero uguale agli anni
del ciclo solare (28) e agli anni del ciclo lunare (19).
Tutto questo ben 140 anni prima della catena disegnata da
Leonardo che si credeva fosse stata la prima mai realizzata.
Le due catene, poste una sopra l’altra, girano, mosse da un
complicato rotismo disegnato in prospettiva, con un rapporto di
trasmissione tale da riallineare due lastrine corrispondenti
sulle due catene dopo 19 anni.
Non entreremo in dettaglio, non avendo a disposizione (?) il
manoscritto di Venezia, ma, per i più dubbiosi, questo
riconferma l’assoluta genialità del Dondi.
Altra soluzione degna di nota è quella dei denti a grandezza
variabile introdotti per la prima volta nella storia e
utilizzati per descrivere il moto di Venere.
Dopo i denti a spessore variabile l’autore continua a mostrare
il suo ingegno con l’introduzione di ruote eccentriche di forma
ellittica, con ruote a dentatura interna (anche esse usate per
la prima volta nella storia), con ingranaggi obliqui e con altre
primizie meccaniche che descriveremo meglio nei prossimi
paragrafi.
Prima di entrare nel dettaglio vorremmo evidenziare un’ultima
cosa: sebbene il Dondi non conoscesse ancora le curve
cicloidali, scoperte nel 1658 da Evangelista Torricelli, il
profilo dei denti delle ruote da lui realizzate risulta curvo e
di forma molto simile a quelli delle ruote moderne.
Tutte le soluzioni descritte sono dettagliatamente riportate nel
suo manoscritto con la perizia di un ingegnere e i disegni
prodotti non hanno nulla da invidiare ai moderni disegni tecnici
(Vedi i fogli del manoscritto riportati in fondo al capitolo).
3.4 L'orologio
Nella descrizione dell’orologio il Dondi si limita a precisare
il numero dei denti delle ruote sorvolando sul come vadano
fissate e sistemate perché, come egli stesso precisa, si rimette
all’intelligenza del lettore che deve avere tanto ingegno da
capire anche più di quanto scritto "cuius aptationis ingenium
non modo quoniam leve est ymaginari habenti ingenium quantum
necessarium est ad reliquia".
Il sistema di scappamento (vedi manoscritto Foglio 4)
dell’orologio, alloggiato nella parte inferiore del casamento e
descritto sommariamente "que in communibus horrologiis fieri
solent", è costituito da una verga munita di palette di
caratteristiche insolite. La verga, munita di palette che
liberano alternativamente un dente, non è proprio dritta ma è
ripiegata e sagomata due volte ad angolo retto in corrispondenza dell’asse della ruota
di scappamento per non urtarlo durante il suo moto.
Il bilanciere compie 1800 oscillazioni all’ora.
Il disco orario porta sul bordo, da sinistra verso destra,
l’indicazione delle 24 ore mentre sul castello è poi fissata una
freccia che indica l’ora; il disco stesso durante il moto
mostra, sia di giorno sia di notte, la posizione del sole per un
punto posto sull’equatore. I disegni del casamento inferiore e
del rotismo dell’orologio sono riportati in figura.
Le caratteristiche degli elementi costituenti l’orologio sono
raccolte nella tabella sottostante
Il tamburo su cui è avvolta la corda, a cui sono attaccati un
peso grande ed uno piccolo, è realizzato in modo tale da poter
girare liberamente sull’albero da sinistra verso destra ma non
da destra verso sinistra.
Dallo schema del rotismo riportato in figura, trattandosi di
tutti rotismi ordinari, possiamo facilmente calcolare il
rapporto di trasmissione tra il bilanciere e il disco orario.
Se il bilanciere compie 1800 oscillazioni orarie, l’asse della
ruota 5 compie 1800/54 giri l’ora; il rapporto di trasmissione
finale sarà quindi pari a:
quindi il disco orario compie una rotazione ogni 24 ore (come è
ovvio).
3.5 Il calendario rotante
Dopo la descrizione sommaria dell’orologio il Dondi passa a
descrivere il calendario rotante costituito da una ruota
realizzata in modo non convenzionale.
Per realizzare questa ruota si prende una barra sottile quanto
il manico di un piccolo coltello, larga 3 dita e lunga tanto da
occupare, una volta piegata a forma di cilindro, il massimo
spazio disponibile nella parte superiore del casamento inferiore
e la si piega in modo da renderla il più circolare possibile.
Per rinforzare questa ruota si realizza un anello, alto quanto
il dorso di un grosso coltello e con spessore radiale di un
dito, e lo si fissa nella parte interna centrale della ruota; in
questo modo si assicura solidità alla ruota (vedi Foglio 5).
Una volta realizzata la ruota si divide tutta l’altezza in nove
parti, dividendo prima in tre e poi ognuna parte ancora in tre,
poi, nella zona terminale della prima divisione si traccia una
linea sottilissima lungo tutta la circonferenza ed un’altra il
più vicino possibile; si ripete l’operazione per la terza, la
quarta, l’ottava e la nona parte mentre nella seconda zona si
traccia una sola linea.
In questo modo la ruota viene divisa in cinque parti (vedi
figura e Foglio 5).
Dopo aver eseguito questa prima divisione il Dondi descrive come
dividere la ruota lungo la circonferenza in 73 parti uguali nel
seguente modo.
Dopo aver tracciato su una tavola piana una circonferenza dello
stesso raggio di quello della ruota, senza variare l’apertura
del compasso, si esegue una prima divisione in sei parti; ogni
parte viene divisa in tre e ognuna di queste ultime in 2 e
ancora in 2, ottenendo una divisione in 72 parti.
Escludendo una parte, si divide il resto (71 parti) in 72 parti
con la stessa tecnica usata in precedenza; queste ultime parti
risultano impercettibilmente più piccole rispetto a quella
esclusa ma questo non è molto importante. Così si ottiene una
divisione della ruota in 73 parti che, divise ulteriormente in
cinque, diventano 365 come i giorni dell’anno.
Per ognuno dei 365 punti di divisione si tracciano delle linee
ortogonali ai cerchi riportati inizialmente in modo da dividere
la ruota in 365 spazi longitudinali (vedi figura e Foglio 5).
In definitiva la ruota viene divisa in cinque parti lungo lo
spessore e 365 lungo la circonferenza.
Al di sopra del primo spazio lungo lo spessore si realizzano i
denti, uno per ogni spazio longitudinale (365) poi, partendo dal
primo di Gennaio e procedendo da sinistra verso destra, si
incidono rispettivamente nel primo e nel secondo spazio le ore
ed i minuti di durata del giorno alla latitudine di Padova, nel
terzo, partendo dalla A del primo di Gennaio, lettere (da A a G)
che indicano i giorni della settimana, nel quarto il nome dei
santi festeggiati dalla Chiesa Cattolica ed infine nel quinto il
numero che rappresenta il giorno del mese.
Per distinguere i mesi tra loro si colora d’oro lo spazio
relativo al mese di Gennaio, d’argento quello relativo al mese
di Febbraio e così via alternando i due colori.
Dopo aver realizzato il calendario rotante, per la sua messa in
opera, si costruisce un cilindro del diametro di due dita e
dello spessore di un dito medio la cui circonferenza viene
divisa in sette parti uguali; su questo cilindro si fissano
sette bracci larghi un dito, spessi quanto il cilindro e lunghi
in modo tale da arrivare perfettamente negli angoli
dell’ettagono inferiore del casamento superiore "septibrachium"
(vedi Foglio 5).
Questi bracci vengono poi fissati all’ettagono inferiore del
casamento superiore e alle aste verticali del casamento
inferiore in modo tale che il cilindro centrale sia posizionato
al centro dei due casamenti.
Nel centro del cilindro del "septibrachium" viene realizzato un
grosso foro in cui viene alloggiato l’asse intorno al quale
ruota il calendario "rota anni"; su questo asse viene inserito
un cilindro forato, libero di ruotare, del diametro leggermente
superiore rispetto a quello del "septibrachium" e su cui vengono
fissati 8 bracci la cui estremità viene poi fissata all’anello
di rinforzo del calendario rotante.
Inoltre sulle aste verticali del casamento inferiore, ad una
distanza dall’ettagono superiore pari all’altezza del calendario
rotante, vengono fissati dei sostegni su cui poggia la "rota
anni" (vedi Foglio 6), in modo da poter asportare il
"septibrachium" ed il casamento superiore senza rimuovere il
calendario.
A questo punto, dopo aver descritto come realizzare la "rota
anni" ed il modo per metterla in opera, viene descritto il
rotismo guida del calendario rotante (vedi Foglio 6).
Il Primum Mobile
Tra le innovazioni introdotte dal Dondi va ricordata anche
quella relativa al computo del giorno naturale inteso come il
lasso temporale che intercorre tra meriggio e meriggio ossia tra
due passaggi successivi del sole sullo stesso meridiano; questa
nozione a noi sembra banale e scontata ma bisogna tenere conto
delle cognizioni dell’epoca secondo le quali il giorno finiva la
sera mezz’ora dopo il tramonto e da quel momento aveva inizio il
nuovo giorno (Tale concezione rimase in vigore in Italia fino ai
primi dell’ottocento e costringeva a continue correzioni
necessarie per adeguare la durata del giorno in funzione delle
stagioni ). Servendosi di questa definizione di giorno naturale
si può riprodurre il moto del sole come composizione di due moti
semplici: il moto del Primum Mobile ed il moto proprio del sole.
Il moto del Primum Mobile, da occidente ad oriente, trascina
nella sua rotazione il sole e tutti i corpi celesti: "motu primi
mobilis perfecto ab oriente ad occidens, sua vellocitate ut
dicunt totam massam cellestium orbium rapiente", mentre il moto
proprio del sole, da oriente ad occidente, descrive il passaggio
del sole attraverso lo Zodiaco. Il periodo del moto-proprio del
sole è di 365 giorni ed ¼ mentre il periodo del Primum Mobile
risulta di 366 giorni ed ¼ (Non ci soffermiamo ulteriormente
sulle osservazioni astronomiche del Dondi che sebbene siano
molto interessanti non sono fondamentali per il nostro scopo).
Per la realizzazione del quadrante del Primum Mobile si
costruisca una tabella quadrata, spessa quanto il manico di un
coltello da pane, e la si renda il più possibile piana, liscia e
pulita; detta tabella deve avere dimensioni tali da inserirsi
perfettamente tra gli ettagoni, superiore ed inferiore, e le due
colonne di una faccia del casamento superiore. Sulla facciata
esterna di questa piastra si denoti con la lettera "A" il punto
equidistante da tutti i bordi che rappresenta il centro della
terra e del Primum Mobile; su questo punto si fissi il compasso
e si tracci la più ampia circonferenza compatibile con lo spazio
a disposizione e un’altra concentrica in modo da lasciare tra le
due lo spazio necessario ad inscrivere due righe di lettere o
poco più.
Si realizzi poi un anello circolare spesso come il manico di un
coltello da pane e largo come i cerchi tracciati in precedenza e
lo si fissi sulla piastra in modo che il centro di questo
coincida con il punto A fissato inizialmente (vedi Foglio 8); su
questo anello si traccino, con il compasso, una circonferenza
vicina al bordo interno, un’altra vicina al bordo esterno ed
un’ultima in posizione intermedia tra le due in modo da
racchiudere due corone circolari.
Si divida l’intera piastra in quattro mediante due diametri
ortogonali, paralleli ai bordi e passanti per A; si divida poi
ogni quarto dell’anello in sei in modo da avere 24 suddivisioni.
Nelle suddivisioni interne si riportino le ore cominciando con 1
nel settore in alto e procedendo in senso orario. Si suddividano
ulteriormente i settori esterni in sei (vedi figura) in modo da
riportare intervalli da dieci minuti. A questo punto, mediante
il compasso, si asporta la parte di piastra interna all’anello
in modo da lasciare l’anello e la parte esterna della piastra;
sulla parte asportata, sempre centrando in A, si traccia la
circonferenza più grande possibile e, internamente a
quest’ultima, un’altra molto vicina.
Chiudendo il compasso in modo tale da lasciare spazio per
riportare dei numeri si tracci un’altra circonferenza ed
un’altra ancora a distanza tale da poter segnare i singoli
gradi; se ne tracci un’altra ancora a distanza tale da poter
inscrivere dei nomi ed un’ultima molto vicina alla precedente.
In questo modo la parte di piastra asportata presenta tre corone
circolari (vedi Foglio 10) divise in quattro parti dai diametri
tracciati inizialmente e che vanno ulteriormente divise in tre
per formare 12 settori; nei 12 settori della corona circolare
più interna si inscrivano, partendo dalla costellazione
dell’Ariete e procedendo in senso antiorario, i nomi delle
costellazioni dello zodiaco.
Si dividano i settori delle restanti 2 corone circolari in sei
parti e nei settori della corona esterna si riportino i numeri
5, 10, 15, 20, 25, 30, in sequenza procedendo in senso
antiorario. I settori della corona circolare intermedia vanno
ancora divisi in cinque parti (per formare complessivamente 360
settori) in modo che ogni settore rappresenti un grado di
rotazione.
Dopo aver individuato, in base al giorno dell’anno, il punto in
cui il sole raggiunge lo zenit, si tracci da qui una sottile
linea radiale e la si divida in 26 parti uguali; partendo dal
centro A, si denoti con B la fine della prima parte in modo che
AB sia una delle 26 parti e con C la fine della venticinquesima
in modo che BC sia di 24 parti. A questo punto, in base alla
teoria esposta da Tolomeo, B rappresenta il centro del circolo
deferente (Cerchio immaginario tracciato intorno alla terra ed
introdotto da Tolomeo sulla cui circonferenza si suppone che si
muova un corpo celeste o il suo epiciclo) del sole e BC il suo
raggio; usando il compasso si tracci, con linea sottile, il
circolo deferente del sole e poi, sempre centrando in B, aprendo
il compasso fino alla linea interna dello zodiaco, si tracci
un’altra circonferenza. Fatto questo, stringendo il compasso di
due parti, si tracci un’altra circonferenza. Centrando in A si
tracci una circonferenza tangente alla più interna di quelle
appena tracciate ed un’altra il più vicino possibile. La tavola
appena realizzata rappresenta la tabella del Primo Mobile.
Puntando il compasso in A si tracci una circonferenza di raggio
minore di AB e si pratichi un foro per inserire l’asse intorno a
cui ruoterà la tabella; successivamente, puntando in B, si
tracci una circonferenza comprendente il foro appena fatto, si
realizzi una rotella spessa come la tabella del Primo Mobile
delle dimensioni dell’ultima circonferenza tracciata e la si
applichi nello spazio analogo sulla tabella in modo che i fori
coincidano. Questo disco rappresenta il centro del circolo
deferente del sole. Si realizzi ora un altro disco di spessore
doppio rispetto a quello del manico di un coltello e di raggio
pari ad un dito e quattro barre dello stesso spessore, larghe il
doppio e lunghe più del semi diametro della tabella del Primo
Mobile. Si colleghino le quattro barre alla rotella disponendole
a forma di croce e si effettuino sulle altre estremità due
piegature ad angolo retto (vedi Foglio 9); forare la rotella al
centro e fissare un asse di spessore tale che si inserisca
perfettamente nel foro fatto nella tabella del Primo Mobile. Si
fissi ora la struttura a croce alla parte posteriore della prima
tabella realizzata in modo che questa possa essere asportata e
rimessa in sede facilmente.
Si realizzi quindi, una ulteriore tabella del diametro un po’
superiore a quello del circolo del Capricorno riportato nella
tabella del Primo Mobile e di spessore leggermente minore, la si
renda piana e pulita e si riporti su di essa il circolo del
Capricorno, dell’Ariete, della Bilancia e del Cancro così come
sono stati descritti sulla tabella del Primo Mobile. Sul retro
dei questo disco si traccino due diametri ortogonali e, dopo
aver realizzato 4 distanziali quadrati di spessore doppio
rispetto a quello del manico di un coltello, si fissino sui
diametri ad una distanza, calcolata rispetto al centro, pari al
doppio della larghezza dei bracci della struttura a croce.
Fatto questo si fissi quest’ultima tabella sulla struttura a
croce in modo che i distanziali poggino sui bracci (vedi Foglio
9).
Poggiando la tabella del Primo Mobile sull’ultima tabella
realizzata, come la rete di un astrolabio sulla tavola delle
regioni e facendo coincidere il foro con l’asse della struttura
a croce, la tabella del Primo Mobile si reinserisce
perfettamente all’interno della prima tabella da cui è stata
ricavata e può ruotare liberamente rispetto ad essa.
Per questa similitudine con gli elementi di un astrolabio il
Dondi chiama la tabella solidale con la struttura a croce
"Tabula regionis".
Sulla tavola delle regioni si traccino i due diametri passanti
uno per l’inizio della prima e della tredicesima ora e l’altro,
ortogonale, passante per l’inizio della settima e diciannovesima
ora; fatto ciò si tracci con il compasso, tenendo conto della
latitudine di Padova, l’orizzonte e i paralleli di altezza
(Circoli della sfera celeste, paralleli all’orizzonte, che
connettono tutti i punti di uguale altezza) come si fa nelle
tavole delle regioni degli astrolabi.
L’ultima cosa che rimane da fare è quella di riportare i gradi
sui paralleli di altezza, di scrivere "Oriens" e "Occidens" sul
diametro orizzontale a sinistra e a destra rispettivamente e
"Meridies" e "Media nox" in corrispondenza rispettivamente della
prima e della tredicesima ora (vedi Foglio 11). Nei Fogli
seguenti del manoscritto sono riportati i particolari del
rotismo relativo al quadrante del Primo Mobile, mentre il
montaggio dell’insieme è riportato nel Foglio 17.
I quadranti relativi agli altri pianeti
Per quanto riguarda la realizzazione degli elementi e dei
cinematismi relativi agli altri sei quadranti (di Venere, di
Mercurio, della Luna, di Saturno, di Giove e di Marte) non
entreremo in dettaglio come abbiamo fatto per il calendario
rotante e per il Primum Mobile, perché il lavoro necessario per
la traduzione e la comprensione dell’intero manoscritto
richiederebbe tempi di studio troppo elevati. Cercheremo
comunque di evidenziare e di descrivere le particolarità
costruttive di maggior rilievo sperando che questo lavoro non
vada perso e che venga ripreso in maniera più accurata in modo
da riportare alla luce quest’opera meravigliosa.
Nella realizzazione del quadrante di Venere possiamo osservare
sia la divisione, descritta in maniera molto accurata, dello
spazio in frazioni complesse come che rappresenta il raggio del
disco epiciclico su cui è fissata la figura del pianeta, sia la
presenza di una guida di scorrimento lungo cui Venere può
scorrere liberamente e che serve a riprodurre con esattezza il
moto del pianeta. Altra particolarità presente nel quadrante di
Venere è costituita da una ruota dentata con denti più o meno
grandi che viene utilizzata per riprodurre le variazioni di
velocità nel moto del pianeta; questa soluzione tecnica è stata
introdotta dal Dondi per la prima volta nella storia
dell’umanità (?). Tutti i disegni relativi al quadrante di Venere
sono raccolti nel manoscritto a partire dal Foglio 18 e fino al
Foglio 22.
Il quadrante di Mercurio costituisce un vero e proprio
grattacapo a causa dei tre moti semplici che caratterizzano il
movimento di questo pianeta; la riproduzione e la realizzazione
di questi tre moti ha impegnato non poco l’autore che non
nasconde le difficoltà incontrate. Il problema maggiore è
costituito dal moto ellittico di Mercurio che risulta molto più
accentuato rispetto a quello di Venere e che va riprodotto
esattamente. Per ottenere questo moto il Dondi crea due ruote
dentate di forma ellittica leggermente ovale (vedi Fogli 27 e
28) di cui una è fissa mentre l’altra mobile è sostenuta da un
congegno speciale; la ruota mobile, girando intorno alla fissa,
riesce ad allontanare ed avvicinare il proprio centro rispetto a
quello dell’altra ruota scorrendo su una guida come quella
realizzata per il quadrante di Venere.
Anche le ruote ellittiche rappresentano una vera primizia
meccanica introdotta per la prima volta dal Dondi che, senza
grossi imbarazzi e difficoltà, descrive, nel Foglio 27, il modo
di costruirle e ne produce un disegno geometrico.
Altra primizia è costituita dalla ruota di comando dei movimenti
del disco epiciclico che presenta denti nella parte interna; una
ruota a dentatura interna è già stata introdotta e descritta nel
calendario rotante ma mentre in quel caso i denti avevano forma
di artiglio, la ruota in questione ha una dentatura dalla forma
geometrica molto simile a quella delle moderne ruote dentate a
dentatura interna utilizzate nel campo dell’orologeria ed in
molti altri settori della meccanica.
Tutti i disegni relativi al quadrante di Mercurio sono raccolti
nel manoscritto a partire dal Foglio 23 e fino al Foglio 30.
Nel quadrante della Luna le difficoltà si moltiplicano perché
secondo gli astronomi del tempo questo astro aveva una
traiettoria composta da quattro moti distinti; l’autore, che nel
quadrante di Mercurio era riuscito a combinare tre distinti
moti, riesce brillantemente a risolvere anche questo problema
utilizzando due guide di scorrimento e due ruote a mandorla.
Nei Fogli 36, 37, 38, 39 e 40 del manoscritto il Dondi descrive
la costruzione geometrica e la messa in opera delle ruote a
mandorla la cui forma è simile a quella di camme a tre lobi
sulla cui periferia sia stata ricavata una dentatura.
Nella realizzazione di queste ruote a mandorla l’acutezza di
ingegno dell’autore si è mostrata nella sua interezza.
Nel realizzare il quadrante della Luna l’autore supera
facilmente l’ennesima difficoltà rappresentata dalla
trasmissione del moto dal quadrante del Sole che risulta
inclinato rispetto a questo di quasi 27°. Al giorno d’oggi,
utilizzando un albero cardanico, il problema si risolve
semplicemente, ma nel 1300 l’albero cardanico non esisteva e
l’autore è costretto a ricorrere ad un lungo albero che unisce i
due quadranti collegato alle ruote del Sole mediante una comune
ruota da 61 denti e alle ruote della Luna con un rocchetto
avente sei alette oblique in modo da poter ingranare con
un’angolazione di 27° (vedi Foglio 43).
Osservando attentamente il rocchetto si deduce che la soluzione
escogitata dal Dondi è molto simile a quella della vite senza
fine che ingrana su una ruota.
Nonostante la genialità della soluzione, questa non lo dovette
soddisfare pienamente tant’è che nei manoscritti successivi il
rocchetto con le alette è stato sostituito con rocchetti di tipo
diverso che producono attrito minore.
I disegni relativi al quadrante della Luna sono raccolti nel
manoscritto a partire dal Foglio 31 e fino al Foglio 43.
Superate le difficoltà del quadrante lunare il lavoro si può
ritenere concluso in quanto gli altri quadranti pur avendo molte
ruote non presentano difficoltà di alcun genere e possono essere
realizzati in maniera agevole. Anche i disegni relativi a questi
quadranti sono raccolti nei figli del manoscritto riportati alla
fine del capitolo.
3-8 La seconda e terza parte del manoscritto
Terminata la prima parte contenente la descrizione degli
elementi dell’astrario segue una panoramica dedicata al modo di
applicare ed asportare i singoli quadranti e alle istruzioni per
l’armonizzazione dei moti dei singoli pianeti che non aggiunge
niente dal punto di vista tecnico ma che può essere considerata
come un riassunto delle cose esposte nella prima parte.
La terza parte del manoscritto è dedicata alla descrizione degli
errori accidentali che possono turbare il moto dell’astrario e
alla loro correzione.
Si comincia con il descrivere il modo di riparare eventuali
guasti dell’orologio e la necessità di mantenere pulite le ruote
dentate eliminando la polvere che inevitabilmente si deposita e
si continua con l’analisi delle irregolarità del moto dipendenti
dalla variazione della pressione atmosferica; il Dondi scrive
esplicitamente che l’aria umida o secca ritarda o accelera il
moto dell’orologio ("Posset etiam illud accidere ex aeris
alteratione seu eiusdem mutatione ad humidum vel ad siccum, ad
tenuem sive grossum") e questo ci fa comprendere quale sia stata
la cura posta nell’osservazione dell’orologio avendo a
disposizione soltanto il Sole come riferimento temporale.
Servendosi dei calcoli fatti per imitare il moto dei pianeti che
lo avevano portato a conoscere i più piccoli errori risultanti
dalla somma di imperfezioni impercettibili derivanti
dall’impossibilità di riprodurre esattamente il moto degli
astri, l’autore fornisce i metodi per la correzione del
quadrante del Sole durante gli anni bisestili (da effettuare il
24 Febbraio nel giorno di S. Matteo) e sapendo di dover
apportare una ulteriore correzione di 26’’ e 30’’’ all’anno,
consiglia di non eseguire la correzione bisestile, di un dente,
ogni 34 anni. L’ultima correzione suggerita evidenzia la
perfezione del calcolo e la precisione del cinematismo.
Le correzioni degli altri quadranti sono altrettanto meticolose
e precise (Per il quadrante di Venere l’autore suggerisce una
correzione di un dente ogni 135 anni ed un’ulteriore correzione
da effettuare ogni 180 anni) ma evitiamo di riportarle perché
non aggiungerebbero niente a quello che già sappiamo.
Con la descrizione della terza parte del manoscritto di Padova
il panorama su Giovanni De Dondi può ritenersi concluso anche se
rimane il rammarico di non aver potuto analizzare più in
dettaglio il manoscritto; speriamo che questo lavoro venga
ripreso in futuro e che fornisca le basi per uno studio accurato
ed un’analisi comparata di tutti i manoscritti prodotti
dall’autore aventi lo scopo di riprodurre questa meraviglia che
il tempo e l’incuria ci hanno sottratto.
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